È appena uscito, il 30 aprile 2021, il suo EP Psychodonna, autobiografico e introspettivo, che l’artista reclama come suo primo vero lavoro da solista nonostante i ragguardevoli precedenti.
Rachele Bastreghi, musicista e cantautrice italiana, già voce – e tastiere – dei Baustelle in cui duetta col baritonale frontman Francesco Bianconi, usciva il 27 gennaio 2015 con l’album solista Marie, dall’arrangiamento spiccatamente ispirato al pop italiano degli anni ’70, con accenni art rock tipici dell’epoca. La genesi dell’album prende l’avvio dal cammeo che Rachele fece nella (discutibile) fiction Rai Questo grande amore ‘70 in cui appare nei panni di Marie De Crecy cantando il brano Mon petit ami dupassé contenuto nell’album. Un’opera che possiamo definire una toccata e fuga di rara intensità: sette brani, tra cui due cover con l’impronta profonda della personalità musicale di Rachele (Cominciava così degli Equipe 84, e All’inferno insieme a te di Patty Pravo) e uno strumentale nel perfetto stile cinematografico tanto caro sia a Rachele che ai Baustelle.
Il video ufficiale del brano Senza essere, anche questo contenuto nel suo album solista, ce la presenta in tutta la sua bellezza, fisica e artistica, circondata da uomini che sono lì per lei, unico astro sul palco col seguipersona puntato addosso. Ma è il suo Psychodonna, appena uscito – 30 aprile 2021 –, autobiografico e introspettivo, che lei reclama come suo primo vero lavoro da solista. Un EP iperstrutturato e pieno di giochi musicali che, pur essendo molto sperimentale e ipertecnologico, nonché percussivo, prende l’avvio dal suo amore per il pianoforte e per Bach. Solo che, a questo punto di partenza, Rachele ha saputo aggiungere tocchi sperimentali presi da vari ambiti sia musicali sia letterari, italiani ed esteri. Infatti, solo per citare qualcosa, l’ultimo brano dell’EP, Resistenze, inizia con la voce della poetessa Anne Sexton che recita la prima parte del suo componimento Her Kind. Ma non è che uno degli elementi di cui questo album poliedrico è composto. I piani d’analisi sarebbero almeno tre: quello musicale, quello vocale e quello testuale. Di fatto, però, quello che conta è che tutto l’album è un lungo viaggio dentro di sé, nei propri limiti e pregi per arrivare ad affermare il proprio peculiare femminile, intriso anche di maschile e di confusione, incertezze, timori, tentativi e asserzioni di sé.
Benché Rachele sia innanzitutto musicista, più che cantautrice, come lei stessa ama puntualizzare, vorremmo prenderci il lusso di fare una ricognizione sulla sua impronta vocale andando più sul tecnico: cosa significa per un cantante “avere una bella voce”? Nel mondo del canto, specialmente in quello pop, avere una bella voce e cantare intonati non è sufficiente per rendere la propria performance artistica originale e bella. Un cantante è un artista se la propria performance è creativa, originale ma soprattutto comunicativa. Il messaggio, inoltre, non è dato solo dalla parola e dalla bellezza della voce e della melodia, i contenuti devono necessariamente passare attraverso una serie di caratteristiche non verbali e di tratti soprasegmentali utilizzati magistralmente per combinare bellezza e comunicatività. Tutto questo deve fare un cantante che è innanzitutto un artista e musicista. Non è solo una voce che riempie parole.
La voce di Rachele ha caratteristiche che sostengono queste esigenze espressive e artistiche e la cantautrice stessa sa come sfruttarle divertendosi sapientemente, modulando sorgente sonora, articolazione e risonanze. L’intonazione è precisa e pulita anche se spesso vi si aggiungono delicati portamenti melodici su alcune vocali. La sorgente sonora, flautata e languida, scherza, di tanto in tanto, inserendo colpi di glottide, crepitii e graffi sempre ad aumentare l’espressività, alternando momenti duri a fasi più struggenti e malinconiche. Il timbro è vellutato, morbido e caldo, e tecnicamente Rachele gioca alternando risonanze nasali e faringee fino a essere, talvolta, persino intubata e tonda. La voce giunge altre volte limpida, cristallina e vibrante spingendosi a esplorare echi di testa. La pronuncia, impeccabile, arricchisce la parola di sfumature espressive che aumentano ulteriormente la comunicatività, esplorando le illimitate possibilità dei movimenti articolatori. Il volume è quasi sempre garbato e misurato, e contribuisce alla raffinatezza della musica che esegue. Rachele, dunque, si esprime sempre in modo garbato attraverso un ampio spettro di modulazioni e cambiamenti sfruttando la sua flessibilità e modificabilità vocale e dimostrando la sua originalità senza eccessi.
Chiudiamo ricordando anche le importanti collaborazioni di Rachele Bastreghi con altri artisti del panorama italiano: nel 2011 la vediamo infatti con Le luci della centrale elettrica in Un campo lungo cinematografico, colonna sonora del film Ruggine partecipando anche con Vasco Brondi, Manuel Agnelli, Giorgio Canali e Davide Toffolo all’ultima tappa del tour de Le luci della centrale elettrica il 3 settembre al Teatro Romano di Verona. Nel marzo 2012 suona nella tappa di Milano del tour degli Egokid. Ha collaborato con Dell’Era nel brano Non ho più niente da dire presente nell’album Stare bene è pericoloso (2015). A inizio 2016 firma il testo e la musica del brano Ci rivedremo poi, contenuto nel nuovo album di Patty Pravo Eccomi, pubblicato il 12 febbraio. Nel 2017 collabora con Mauro Ermanno Giovanardi al brano Baby Dull, presente nel suo album di cover La mia generazione uscito a settembre. Nel 2018 partecipa col brano Le Cose che Pensano a “LB/R La Bellezza Riunita”, un album di rivisitazioni dei brani scritti da Lucio Battisti con Pasquale Panella.
Laura Massera e Margherita Paoluzzi
Foto in alto Rachele Bastreghi