Sono incinta ma… intervista a Serena Savarelli

incinta
Il parto anonimo in Italia è garantito dalla legge. In Toscana il “Progetto Mamma Segreta“ permette il necessario supporto a mamme e  bambini.

Quando una donna scopre di essere incinta, solitamente prova una gioia immensa. Talvolta però non è così. Una donna può partorire in anonimato e nel film In mani sicure che abbiamo recensito ne vediamo un esempio. Se una donna desidera un parto in anonimato e quindi non riconoscere il bambino, la legge italiana prevede che riceva il sostegno e l’accompagnamento necessari. Può rivolgersi al proprio medico, ai consultori, ai servizi sociali del Comune o della Asl o, se si trova nell’imminenza del parto, direttamente alla maternità dell’ospedale più vicino. Si tratta di percorsi curati da équipe multidisciplinari, gratuiti e rivolti a tutte le donne: straniere, residenti, non residenti, clandestine, nubili, coniugate, senza limiti di età, in qualsiasi situazione sociale e familiare. Insomma, chiunque può accedere.

Su un tema così delicato abbiamo intervistato Serena Savarelli, ostetrica che si è sempre dedicata al Progetto Mamma Segreta al Consultorio Valdichiana Aretina. Il progetto della Regione Toscana è operativo dal 2005 e attivo in tutte le province. Serena esercita con grande passione la sua professione da oltre vent’anni, è mamma di cinque figli di età compresa fra i diciassette e gli otto anni, si dedica con passione alla lettura e scrive dei libri che legge per il blog Culturaalfemminile. Se tutto questo non bastasse, la casa è popolata da un paio di cani, un gatto e un criceto.  E non è finita qui. È vicepresidente dell’associazione Voci Diverse, all’interno della quale si occupa anche di un progetto di pet therapy. È decisamente una donna oltre il consueto, per alcuni un’eroina dei nostri giorni, a sentir lei è una donna semplice che ha solo lasciato aperta la porta a ciò che la vita le ha sempre proposto.

La prima domanda che mi sorge spontanea è: come fai a fare tutto?

«A questa domanda, decisamente, non so rispondere nemmeno io e spesso me lo chiedo. Io sono quella che, diciassette anni fa, con un solo figlio, andava nel panico perché non riusciva nemmeno ad apparecchiare la tavola. Poi, con il tempo e il numero dei figli che aumentava, ho scoperto che è solo questione di volontà e abilità nel sapersi organizzare. È vero quando si dice: volere è potere.»

Chi sono le donne che si rivolgono al Progetto Mamma Segreta?

«Non esiste una tipologia particolare di donna che ricorre al parto in anonimato. La realtà è che non tutte le donne riescono ad accogliere la loro maternità, per una complessità di motivazioni che occorre ascoltare, comprendere e riconoscere. Durante la gravidanza, soprattutto quando la madre è in difficoltà a rispondere adeguatamente ai bisogni del bambino, è indispensabile che la donna sia seguita in maniera qualificata. Questo per la tutela di entrambi, sua e del nascituro. In questo modo è possibile evitare decisioni affrettate, spesso drammatiche, al momento del parto.»

Serena Savarelli
Serena Savarelli

Perché è importante che la donna venga accolta da una équipe di professionisti?

«La donna non è solo una persona alla quale trovare una risposta alla sua problematica. Colei che intraprende questo difficile percorso è la somma di tante storie che le ruotano attorno. Per saperla accogliere e garantirle la giusta assistenza di qualità, occorre dare una risposta a ogni suo bisogno. Ecco la visione olistica! Ecco perché è necessaria un’équipe multidisciplinare, perché ogni professionista (ostetrica, ginecologo, assistente sociale e psicologo) sarà in grado di assisterla, ognuno per la competenza specifica.»

Succede che una donna, grazie al vostro supporto, decida di riconoscere il bambino? 

«Sì, a volte succede. Soprattutto a quelle donne che arrivano indecise, incerte sulla strada da intraprendere. Questo cammino lascia la possibilità di decidere e cambiare idea anche dopo la nascita, quindi in ogni momento del percorso la donna può ribaltare la sua decisione. Ci sono problematiche facilmente superabili, altre per le quali la donna non vede alternativa che lasciare suo figlio.»

Perché il protocollo prevede che la donna venga supportata anche dopo il parto?

«In questo percorso i protagonisti da tutelare sono tre: la donna, il nascituro e la famiglia adottiva. La donna non conclude il suo cammino con il parto, anzi, da quel momento lei deve tornare alla sua vita apparentemente uguale a prima. Noi sappiamo che non sarà la stessa persona, perché tenere il proprio piccolo in utero per nove mesi, partorirlo e sapergli dire addio incide indelebilmente la propria esistenza. La sfera psicologica subisce sussulti inimmaginabili e che permangono nel tempo. È questo il periodo in cui lei ha bisogno di maggior supporto. Spesso non riusciamo a garantirlo perché la donna sfugge ai contatti o perché non è stato possibile costruire il percorso fin dall’inizio della gravidanza. In quest’ultimo caso, conoscere la donna per nove mesi, instaurare con lei un rapporto di fiducia, le garantisce di avere un luogo sicuro e accogliente anche durante il dopo parto.»

Nel caso di una donna incinta che decide di partorire in anonimato attivando questo percorso, cosa cambia per il bambino? 

«Per il nostro ordinamento giuridico chi nasce è “persona”, alla quale è attribuita la capacità giuridica, cioè la titolarità dei diritti. Quelli inviolabili della persona sono il diritto all’identificazione, al nome, alla cittadinanza, alla certezza di uno status di filiazione, all’educazione e alla crescita in famiglia. Questo percorso garantisce al neonato la garanzia di interventi di protezione nell’attuazione dei suoi diritti fondamentali. Dopo la segnalazione dello stato di abbandono del minore non riconosciuto alla Procura della Repubblica presso il Tribunale dei Minori, viene aperto il procedimento di adottabilità con sollecito dell’individuazione della coppia idonea. In questo caso ci sarà la totale omissione di tutti quegli elementi che potrebbero identificare la madre biologica e al neonato, in buono stato di salute, verrà al più presto garantita una famiglia e potrà essere, così, dimesso dall’ospedale in tempi brevi.»

Paola Giannò

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