Annarosa Colonna, neuropsichiatra infantile per amore dei bambini

Annarosa Colonna
«Anche se può non sembrarci, il neonato è un soggetto competente. […] Quell’esserino è un vero e proprio sistema organizzato. Per la sua crescita la relazione con l’adulto di riferimento è fondamentale.»

Annarosa Colonna ha cinquant’anni anni, sei figli, un compagno meraviglioso e due lavori. Ha capito fin da ragazzina di voler studiare medicina ed è riuscita a laurearsi nonostante avesse già famiglia. Ha intrapreso la scuola di specializzazione in neuropsichiatria infantile perché ama i bambini, soprattutto quelli speciali. La sua attività professionale si divide fra l’Azienda Sanitaria di Bologna e il Centro Terapeutico Ambulatoriale Antoniano Insieme del quale è Direttrice Sanitaria. Ci confida di far fatica a mantenere separati i ruoli che ricopre. Mentre svolge la sua attività clinica non può e non vuole dimenticarsi di essere madre. Allo stesso tempo mentre fa la mamma non può scordarsi di quello che il suo mestiere le ha insegnato sui bambini. Le domande che vorremmo farle sono tante, ma iniziamo dal principio.

Dottoressa Colonna, ci può spiegare chi è il neonato?

«Anche se può non sembrarci, il neonato è un soggetto competente. È dotato di una serie di abilità che poi nel tempo maturano e si organizzano in relazione all’ambiente e alle esperienze con il mondo circostante. Quell’esserino è un vero e proprio sistema organizzato. Per la sua crescita la relazione con l’adulto di riferimento è fondamentale.»

È possibile quindi influire sullo sviluppo delle abilità di un neonato in modo più efficace?

«Sì, certo. Senza voler caricare di ulteriore ansia il neo genitore, è importante sapere che il tipo di relazione che instaura con il bambino ha importanza, è una relazione di cura. I bambini sono in grado di imparare a riconoscere, di capire e interpretare le loro emozioni, i bisogni fisici e affettivi sulla base delle esperienze avvenute fin dai  primi momenti di vita. Genitore e bambino sono due sistemi interdipendenti, cioè che comunicano tra di loro; è sulla base di come comunicano che si autoregolano. L’interazione fin dai primi momenti sostiene lo sviluppo e l’evoluzione dei nostri piccoli e ne fa gli adulti di domani.»

Come è arrivata la scienza a queste scoperte?

«Si tratta di studi se vogliamo piuttosto recenti. Andrew Meltzoff alla fine degli anni ’70 dimostrava che, fin dalle prime ore di vita, i neonati sono in grado di imitare le espressioni di chi hanno di fronte. Prima si pensava che fossero capaci di movimenti volontari solo dopo i primi mesi, invece tutto inizia molto prima. Negli anni 2000, Vittorio Gallese e Giacomo Rizzolatti, con la scoperta e gli studi sui neuroni a specchio dell’essere umano, hanno ulteriormente accresciuto le nostre conoscenze. Il cervello umano si sviluppa un po’ alla volta, ma questo particolare tipo di neuroni sono presenti fin dalla nascita. Si attivano involontariamente sia quando un individuo esegue un’azione finalizzata, sia quando egli osserva la medesima azione compiuta da un altro soggetto. In pratica ci permettono di apprendere e non solo grazie al senso della vista.»

Vale anche per quanto riguarda la vita intrauterina?

«Le attuali tecnologie hanno riscontrato che addirittura nella vita intrauterina il soggetto ha dei comportamenti volontari legati all’interazione con l’altro. Pensate che si sono visti movimenti volontari non casuali  verso il gemello già a partire dal quarto mese di vita gestazionale. Allo stesso modo altri studi ci raccontano come il feto sia maggiormente interessato a osservare stimoli visivi che ricordano il volto umano rispetto ad altri. Già dalla pancia il bambino cerca la relazione.»

Quanto influiscono la quantità e la qualità degli stimoli offerti al bambino e da chi provengono?

«Sia la quantità che la qualità influiscono. Una coppia di  genitori tocca il proprio figlio per circa 1180 ore all’anno. Nei casi ad esempio di bimbi che restano in strutture di cura, ospedaliere o meno, ne ricevono solo 180. La differenza è notevole e le conseguenze sono riscontrabili. Nel secondo caso non è purtroppo possibile che un operatore svolga la stessa funzione di un genitore. Non ha importanza chi adempie alla funzione di figura di riferimento, ma è fondamentale che qualcuno lo faccia. Ad esempio nel film In mani sicure si vede bene come l’operato del papà affidatario sia indispensabile per il piccolo Theo. Con lui apprenderà le basi del cosiddetto attaccamento sicuro che poi avrà modo di consolidare con la mamma adottiva. Papà Jean ha una relazione con Theo e lo cura.»

Dottoressa, che tipo di relazione instaura con i suoi piccolissimi pazienti e i loro genitori?

«Mi occupo soprattutto di neonati, in particolare di prematuri, e credo in un modo un po’ sui generis. Canto, gioco, mi sdraio per terra… insomma cerco in tutti i modi un contatto con i bambini e con i genitori. Penso che senza un incontro non possa esserci nulla, nemmeno di professionale. Come posso comunicare a un genitore che il suo bimbo ha delle difficoltà se non accogliendo il suo dolore? La relazione che si instaura fra noi è fondamentale. Una relazione è sempre a doppio senso. Da loro ho appreso l’arte di trasformare un dolore in un mare di opportunità. L’amore può fare miracoli non perché sia in grado di guarire ma perché è capace di curare. Come dicevo, la relazione è cura.»

Sull’emozione di queste bellissime parole ci salutiamo ripensando al papà del piccolo Theo e a quanto è stata preziosa la consapevolezza delle sue attenzioni.

Paola Giannò

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3 commenti su “Annarosa Colonna, neuropsichiatra infantile per amore dei bambini”

    1. Il destino dipende dall’amore…
      Questi piccoli pazienti e le loro famiglie, incontrando l’amore e la passione per il suo lavoro che accompagnano Anna sono certamente fortunati perché sicuramente vedranno crescendo i frutti di un percorso di cura insieme.

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