L’artista pistoiese ci mette le ali, ci fa volare leggeri con le sue forme semplici e pulite al di là del “difficile”, in mezzo alla poesia.
Silvia Beneforti, nata a Pistoia nel 1971 dove attualmente vive e lavora, inizia il suo percorso artistico circa dieci anni fa. Il suo lavoro di pittura e scultura assume un proprio stile illustrativo dando vita ai suoi personaggi – figure umane e animali – che concorrono a creare una nuova visione poetica del mondo. Ha esposto a livello nazionale e ha collezionisti dislocati non solo in Italia, ma soprattutto negli Stati Uniti e in tutta Europa. L’ho conosciuta durante uno dei miei soliti pellegrinaggi a Les Bouquinistes, una delle librerie più accoglienti di Pistoia, la nostra città, grazie alla passione comune per la carta stampata. È lì che ho conosciuto per la prima volta i suoi personaggi: in mezzo a poesie, racconti e copertine.
Partiamo dall’inizio: da quanto tempo la pittura fa parte di Silvia Beneforti?
«A essere sincera la pittura e, in generale, la mia sperimentazione in campo artistico ha iniziato a far parte di me una volta superati i quarant’anni. I miei studi, il mio lavoro, i miei interessi fino a quel momento convergevano su altri settori. Poi la mia strada ha incrociato quella di colui che sarebbe diventato mio marito, scultore e pittore, grazie al quale ho iniziato una vera e propria full immersion in quel folle (sì, folle sotto molti punti di vista) mondo fatto di materiali che diventano altro. La mia strada in campo artistico è iniziata con la creta, immergendo le mani in quel materiale e cercando di trarne fuori forme. Iniziare da una tridimensionalità mi ha permesso poi di passare alla bidimensionalità della pittura con una migliore comprensione di forme, ombre e luci.»
Cosa significa per te dipingere?
«Dipingere, per me, è comunicare. È uno strumento così come per altri può essere la scrittura. È cercare. Che poi l’arte, dal mio personale punto di vista, è sempre una ricerca. È condivisione di pensieri, concetti, ideali. È anche strumento di confronto, specialmente quando chi guarda un tuo pezzo condivide con te la sua personale lettura, spesso diversa da quella che tu stessa avevi in mente mentre lo dipingevi.»
Quando ti sei accorta di avere il tuo stile?
«Premetto che, come per tutti coloro che iniziano un percorso artistico, ho studiato molto gli artisti del passato e quindi i primi anni li ho interamente dedicati all’acquisizione delle varie tecniche e a “farmi l’occhio”. In quel primo periodo non credevo di poter arrivare ad avere un mio proprio stile e, in fondo, nemmeno ci pensavo. È nato tutto un po’ per caso, passo per passo, un tassello alla volta. Una serie di fattori e di incontri, iniziando da un libro di poesie che mi aveva colpito molto: Dal corpo abitato di Matteo Pelliti, che mi ha portato a pensare a quella che è stata la mia prima serie di pezzi dedicata, appunto, al tema dell’abitare. Tra quei pezzi vi erano delle piccole sculture in legno a cui detti il nome di “Monolocali biculi”, in quanto rappresentavano case in qualche modo viventi. Dopo la nascita di quei pezzi così “particolari”, iniziai a trasporre lo stesso stile in ciò che dipingevo. Dopo tanti esercizi e schizzi in uno stile pienamente realistico, ho trovato la mia voce semplificando forme ed espressioni.»
Pittura è spesso donna, mi pare, nel tuo caso. Che soggetti preferisci dipingere?
«Non so se la pittura sia spesso donna. Nel mio caso, la pittura non ha un genere. Mi spiego meglio: il soggetto che preferisco dipingere è una figura umana il cui genere non è palese. Testa ovale, poche linee e ombre a rappresentarne il volto, un abito informe. È questo il soggetto che più sento mio. Io che lo creo traspongo in quella figura le sensazioni e le emozioni del momento, lasciando la libertà in chi lo guarda di trasporre le sue, quindi posso sentirlo libero solo se non limitato da un genere.»
Quanto sono importanti gli animali per te? Sono anche fonte di ispirazione, mi sembra di capire dai tuoi quadri.
«Gli animali sono miei compagni di vita da sempre. Non solo animali domestici, come cani e gatti, che hanno sempre fatto parte della mia famiglia, ma qualsiasi tipo di animale (salvo i serpenti, per quelli nutro un sano terrore!). Sono nata e cresciuta fuori città, al limitare di boschi, dove incontrare animali selvatici era un evento pressoché quotidiano. Pensa che ho visto il primo lupo che avevo poco più di sei anni.»
Ti capita di capire come ti senti mentre dipingi e il quadro prende forma, oppure accade più spesso il contrario, cioè ti senti in un certo modo e allora dipingi in quel modo, usando quei soggetti?
«Questo aspetto non è affatto semplice da descrivere. In genere, cerco di avere una routine quanto più lineare che prevede di mettermi al tavolo da lavoro due ore la mattina presto e poi nel pomeriggio. Questo vale però solo per quei dipinti più semplici, soggetti che ho dipinto molte volte e che ormai potrei dipingere anche a occhi chiusi; quei pezzi che dipingo nelle mie fasi tranquille. Poi ci sono i dipinti “di impeto”: quelli più sentiti, frutto del bisogno forte di dare forma a una emozione intensa. Sono tele, generalmente grandi, che dipingo direttamente in laboratorio (non so se te l’ho detto, ma vivo in una casa-laboratorio). In questo secondo caso lascio le emozioni guidare le mie mani e solo in un secondo momento metto a posto eventualmente ciò che a mente fredda mi sembra da sistemare. Infine ci sono i “BastardInside”, come li chiamo io: quelli che dipingo quando mi sento particolarmente arrabbiata con qualcuno; vere e proprie caricature di personaggi-tipo che proprio non mi piacciono, come la zitella bigotta e acida – se è politicamente scorretto la chiamo “la single diversamente giovane”, eh – che indossa un maglione natalizio su cui campeggia la scritta “porn-hub”.»
Dipingere è anche “cura”, secondo te?
«Assolutamente sì. Non cura nel senso che dipingendo tutti i mali del mondo scompaiono, ci mancherebbe, ma sicuramente è uno strumento utile a buttar fuori quei sentimenti, quei pensieri che altrimenti sedimentano dentro di te, inaridendoti. Dipingere, scolpire, in generale tutte le tecniche artistiche sono, così come le parole, uno strumento comunicativo. E comunicare è sempre un po’ curativo, no?»
Il rapporto libri-film-pittura esiste? Se sì, quanto è importante per te?
«Anche qui direi assolutamente sì, almeno per quanto riguarda me. Come dicevo prima, un libro di poesia è stato fonte di ispirazione per la mia prima serie di pezzi e questo rapporto libri-pittura è continuato nel tempo e continuerà ancora. Stessa cosa per i film e con le stesse motivazioni: non so mai cosa ispirerà il mio prossimo pezzo, potrebbe essere banalmente un’ombra sul volto di un anziano, una frase o persino l’ombra di un candelabro su una tappezzeria intravista in una scena di un film inglese.»
Quando pensi i tuoi quadri stai da sola? Oppure ti capita di farlo mentre vivi la tua vita quotidiana fatta di impegni, fuori e dentro casa?
«A essere sincera, i miei pezzi saltano fuori quando meno me lo aspetto. Per questo porto sempre con me un paio di quadernetti a fogli bianchi, lapis e penne. Se non ho il tempo di schizzare un minimo l’idea, mi appunto le parole chiave che so poi mi aiuteranno a ricordare l’idea che mi era venuta.»
Anche tuo marito è un artista: quanto conta “il reciproco sopportarsi e supportarsi” artisticamente? Vi siete conosciuti grazie alla pittura?
«Conta tantissimo, veramente tanto. Come dicevo prima, il mio incontro con l’arte coincide con l’incontro con lui, che affettuosamente mi piace definire il mio maestro. Ci siamo conosciuti circa dieci anni fa grazie a un comune amico e grazie al nostro cognome (siamo entrambi Beneforti di nascita). Dopo il classico periodo di corteggiamento abbiamo iniziato a convivere e, visto che da anni lui teneva lezioni di pittura e lavorazione della creta nel suo laboratorio, ho iniziato a partecipare anche io. Ovviamente, abitando insieme, io potevo far lezione con lui in ogni momento libero e così è stato. Mi ha insegnato le tecniche, mi ha avvicinato ai grandi artisti del passato, mi ha fatto conoscere vari artisti pistoiesi e, soprattutto, mi ha aperto le porte di un mondo che fino ad allora avevo solamente goduto asetticamente da spettatrice, anche un po’ distratta. Mi ha insegnato (e mi insegna tutt’ora) sempre con sincerità, mi ha sopportato nella mia cocciutaggine e poca pazienza, ma soprattutto mi ha supportato spingendomi sempre avanti e incentivandomi a sperimentare e sperimentare, sempre.»
Dipingi anche su commissione? Qual è il tuo pubblico più affezionato?
«Sì, dipingo anche su commissione, seppur, ovviamente, mantenendo il mio stile illustrativo e un po’ onirico. La maggior parte dei miei collezionisti è estera, in gran parte dal Nord America e dalla Gran Bretagna, ma ovviamente ho anche collezionisti italiani. Devo dire che sapere che i miei pezzi sono sparsi per il mondo (l’ultimo è volato a New York pochi giorni fa) mi regala una soddisfazione enorme in quanto mi fa pensare che culture diverse, lingue diverse, distanze fisiche sono barriere che l’arte abbatte rendendoci tutti più vicini, sempre.»
Elena Marrassini
Foto in alto: Silvia Beneforti