E se vedere non fosse solo un fatto di vista? Una donna coraggiosa si trova a dover affrontare la spiazzante realtà delle scelte umane, quando si è sicuri di non poter essere visti.
Nel suo Cecità, José Saramago ci presenta molti personaggi, uomini e donne diversi tra loro e ben caratterizzati come solo la penna di un grande scrittore riesce a fare. Una di queste donne è la moglie del medico, l’unica che in tutto il romanzo non perderà mai l’uso della vista ma anche l’unica che, nell’avanzare della storia, si augurerà più volte di potersi svegliare alla mercé della distesa lattea che vedono tutti gli altri.
La moglie del medico, della quale non sapremo mai il nome (ma d’altra parte non conosceremo il nome di nessuno), mente per poter stare accanto al marito, colto dall’improvvisa cecità. Loro, insieme ad altri, vengono isolati, messi in quarantena per arginare un “virus” che in realtà si sta già diffondendo velocemente. Finge di essere cieca, ma ben presto si ritroverà a vedere cose a cui mai avrebbe immaginato di assistere. Il degrado umano la sconvolge, e non solo quello fisico e igienico, ma soprattutto quello morale. È testimone di cattiverie, mancanza di umanità e veri e propri soprusi, vede suo malgrado le bassezze di cui è capace l’uomo arrivando ad augurarsi la cecità lei stessa. Ma ogni mattino i suoi occhi si aprono e vedono, e con il tempo si rende conto che lei è l’unica persona su cui possono contare suo marito e un ristretto gruppo di persone a cui si è legata. Sarà per loro l’ancora e l’appiglio, la giustizia e l’umanità. Si carica di un peso gravoso ma non può fare altrimenti, la propria coscienza non glielo permette. Non sa per quanto tempo sarà così, ma non demorde. Commette atti forti, difende e solleva. Cerca di ripristinare un po’ di decenza nonostante l’abbandono che circonda tutti, è consapevole di essere l’unico punto di riferimento, l’unico mezzo di sopravvivenza, e accetta di portarne l’onere e la responsabilità fintanto che sarà necessario.
È tenace la moglie del medico, ogni giorno perde un pezzo del mondo che conosceva prima della cecità collettiva ma non molla. Compie scelte dure e azioni estreme, è l’esempio che una donna pacata di mezza età si fa eroina quando, messa di fronte a ostacoli da sormontare, non si ferma davanti a nulla pur di passare oltre e mantenere un certo equilibrio. Non c’è più coscienza, l’ordine ormai è stato soverchiato e tutto il mondo è cieco a fratellanza e altruismo, non solo negli occhi. Solo lei, che ci vede ancora e per questo vomita dolore e scarsi pasti, subisce il deterioramento, sia fisico che umano. E dopo tutto ciò che ha visto e che soprattutto ha vissuto, si domanda se non sia troppo facile vedere quello che vogliamo vedere, quando gli occhi funzionano. Se vivere in un certo modo non sia solo frutto di un’impostazione, forse di cultura o educazione, e se alla fine quella più pericolosa non sia proprio la cecità delle mente. Secondo me non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo. Ciechi che vedono. Ciechi che, pur vedendo, non vedono dirà a suo marito, consapevole che la capacità di vedere, a volte, non è questione di nervo ottico o virus o altro, ma solo di volontà.
Serena Pisaneschi
Foto in alto: Julianne Moore alias la moglie del medico, tratta dal film “Blindness”