Una delle ultime società matriarcali. Le donne scelgono e cambiano partner a loro piacimento. I “mariti” le visitano solo di notte e non hanno a che fare con la crescita dei figli.
I Mosuo sono una delle cinquantacinque etnie riconosciute della Cina e si trovano nelle province dello Yunnan e del Sichuan. Contano circa cinquantamila individui e vivono perlopiù vicino al lago Lugu. Ma non dovremmo piuttosto declinare al femminile e chiamarle le Mosuo? L’organizzazione sociale infatti è una delle poche matrilineari ancora esistenti sulla Terra.
I beni della società Mosuo appartengono interamente alle donne: le case, i campi, il bestiame e i derivati, mentre gli uomini si dedicano al commercio dei prodotti Mosuo e sono, di fatto, nullatenenti. Ogni persona dei vari clan in cui è divisa la popolazione possiede il nome della donna più anziana, la madre del clan. Le ragazze a tredici anni ricevono l’iniziazione e la benedizione a entrare nel clan e viene consegnata loro la chiave della loro camera da letto.
Durante le danze in onore della dea Gan Mu le giovani donne possono scegliere un nuovo partner tra i giovani uomini, mentre agli uomini non è consentito scegliere.
Il partner ha poi il diritto di andare a trovare la donna nella sua camera da letto la stessa notte, ma poi all’alba deve tornare nella sua dimora nel clan di nascita. I figli nati dalle varie unioni sono allevati e curati dalle donne e dal clan e non hanno padre genetico ma una paternità collettiva data dagli uomini del clan: zii e cugini. La coppia si può dire che non esiste perché ognuno continua a vivere nel proprio clan di origine.
Non solo: c’è un simbolo chiaro che viene affisso fuori dalla porta della donna quando l’uomo perde il diritto di andare a trovarla nottetempo. Vivono in serenità e salute e non ci sono discordie sociali di sorta né tantomeno femminicidi.
L’esistenza dei Mosuo mi fa tornare alla mente un sito archeologico rinvenuto a Xi’An non lontano dall’esercito di terracotta, cioè il villaggio neolitico di Banpo. Gli studiosi hanno definito Banpo come un sito-tipo, termine che indica un sito riconosciuto come modello rappresentativo di una particolare cultura, in questo caso la cultura Yangshao, che fiorì nella valle del Fiume Giallo tra il 5000 e il 3000 AC.
La particolarità di questo sito è che sembra essere di origine matriarcale. Ci fu un gran discutere su questa scoperta che inizialmente sembrava dovuta a una forzatura voluta dal pensiero marxista dominante al tempo degli scavi. Recentemente, però, le evidenze archeologiche hanno confermato come in realtà si trattasse veramente di una società matriarcale in cui gli uomini venivano usati come forza lavoro.
Da mezza sinologa quale sono, ho partorito una fantasia del tutto irrealistica ma che mi piace coltivare: Lao Zi, il nome del famoso filosofo cinese, significa essenzialmente Venerando Maestro e dato che in cinese non esistono le concordanze di genere, potrebbe anche essere Veneranda Maestra.
Della vera esistenza di Lao Zi non vi è certezza. Viene rappresentato come un vecchio quasi calvo con pochi capelli lunghissimi ma non si sa se davvero sia l’autore del Dao De Jing (chiamato in occidente Tao Te Ching) o se quella non sia piuttosto una raccolta di saggezza arcaica. Con tutti questi margini di incertezza storica e le testimonianze di tante società matrilineari e matriarcali, cosa ci impedisce di fantasticare su una Veneranda Saggia che sì è inventata nientemeno che il Taoismo? Ovviamente questa è solo una fantasia. Ma chissà che in un universo parallelo non possa essere la vera storia della Cina!
Laura Massera
Immagine in alto: Mosuo Bridesmaid, Yunnan, China – Foto di Rod Waddington
Rivista interessante.