Pioniera del movimento LGBTQ, ha fatto della sua vita un esempio elevandosi a portavoce della rivoluzione sessuale tra gli anni ’50 e ’70. Donna nata in un corpo maschile, ha dimostrato che con coraggio e perseveranza è possibile diventare autentici.
Nel 1926, nel Bronx, noto quartiere di New York City, nasceva George William Jorgensen jr ovvero Christine, una bambina che di maschile portava solo il nome, perché la natura che sentiva crescere dentro di sé era essenzialmente femminile. Fin da piccola, Christine si sentiva diversa dagli altri bambini. Timida e introversa, era estranea ai canoni che caratterizzavano le esigenze di mascolinità tipiche del suo genere, percependo se stessa come una donna intrappolata in un corpo di uomo. Si diplomò al liceo durante la Seconda guerra mondiale e si arruolò nell’esercito. Scelta ardita considerando che, a quel tempo, i militari omosessuali venivano congedati con disonore e rischiavano addirittura la corte marziale, ma Jorgensen ha spiegato le sue ragioni: «Volevo essere accettato nell’esercito per due motivi. Il primo era il mio grande desiderio di appartenere, di essere necessario e di unirmi al flusso di attività intorno a me. Secondo, volevo che i miei genitori fossero orgogliosi di me.»
Dopo il congedo frequentò dei corsi professionali, ma non si ritenne soddisfatta della propria vita. In continuo movimento alla ricerca di sé, venne a conoscenza dell’esistenza di un intervento chirurgico per la riassegnazione del sesso. Smossa da questa nuova scoperta, iniziò ad assumere estrogeni femminili e decise di recarsi in Svezia per farsi operare. Durante uno scalo a Copenaghen conobbe il dottor Christian Hamburger, endocrinologo specialista in terapia ormonale riabilitativa, e decise di seguire il trattamento ormonale sotto la sua supervisione. Poco dopo, Christine ottenne il permesso di sottoporsi a una serie di operazioni chirurgiche e, il 24 settembre 1951, le fu eseguita un’orchiectomia. Questo primo intervento ebbe il potere di darle speranza e buonumore, spingendola verso un cambiamento “estetico” che andava di pari passo con la sua natura intima, e così, nel novembre del 1952, si sottopose a una penectomia.
Tornò in America un mese più tardi e, il 1° dicembre, sulla prima pagina del New York Daily News, apparve un articolo intitolato Ex-GI diventa bionda bellezza: le operazioni trasformano la gioventù del Bronx. Christine venne accolta con clamore e salì subito alla ribalta. Pur non essendo stata la prima donna a essersi sottoposta al cambio di sesso – quel tipo d’interventi erano già stati eseguiti in Germania tra gli anni ’20 e ’30 – Christine era stata la prima a seguire anche una terapia ormonale e la stampa esaltò sia il patriottismo di ex militare che la bellezza femminile. Non passò molto tempo, però, prima che venisse attaccata con odio e discriminazione, come succede alla maggior parte dei membri della comunità LGBTQ. I giornalisti scoprirono che, nonostante gli interventi di rimozione degli organi genitali, Christine non aveva una vagina e la bollarono come “maschio alterato”, scatenandole contro quella che oggi verrebbe chiamata shitstorm. Fu solo nel maggio del 1954 che Christine poté sottoporsi all’intervento finale di vaginoplastica, riuscendo finalmente a sentirsi completa.
Si può dire che tutta la vita di Jorgensen sia stata un palcoscenico. Possiamo immaginare quanto fossero state tormentate la sua infanzia e la sua adolescenza, sentendosi diversa e senza un posto nel mondo. Poi George – che è sempre stato Christine – finalmente ha trovato la sua strada e ha sfruttato la sua storia per sostenere la transessualità ed elevarla dal grado di perversione e mostruosità con cui era vista portandola a essenza di sé. Ha sfruttato la sua immagine per farsi portavoce instancabile del movimento, ha girato università, ispirato film e scritto libri; il suo Christine Jorgensen: a Personal Autobiography ha venduto quasi quattrocentocinquantamila copie. Ha anche subito cattiveria e ingiustizie però, come quando, in tv, le chiesero dettagli sulla vita amorosa con sua “moglie” o quando le negarono la possibilità di sposarsi con Howard J. Knox perché nel certificato di nascita figurava ancora come maschio.
A dimostrazione che spesso le angherie di estendevano anche a chi le era a fianco, lo stesso Knox perse il lavoro dopo essere diventato noto. Tutto questo non ha mai scoraggiato Christine Jorgensen, che ha continuato per il resto della vita a far conoscere la sua storia e sensibilizzare il mondo, dando vita a quella che, poi, è diventata una vera e propria rivoluzione sessuale. «Sono molto orgogliosa ora, guardando indietro, di essere stata sull’angolo della strada trentasei anni fa quando iniziò il movimento. Era la rivoluzione sessuale che stava per iniziare con o senza di me. Potremmo non averla iniziata, ma gli abbiamo dato un bel calcio nei pantaloni». Questo affermava Christine in un’intervista al Los Angeles Times poco prima della sua morte, avvenuta il 3 maggio del 1989 a causa di un cancro. Nel 2019 Christine Jorgensen è stata riconosciuta come una dei primi cinquanta “pionieri ed eroi” inclusi sul Muro d’Onore del movimento LGBTQ nazionale, all’interno del Monumento Nazionale Stonewall, dedicato ai diritti e alla storia del movimento LGBTQ.
Serena Pisaneschi
Foto in alto: Christine Jorgensen