Modificare la percezione collettiva è un procedimento complesso, le parole corrette portano il pensiero sulla giusta strada.
Sono molte le frasi che rivolte a una donna risultano inopportune. Molto spesso le esternazioni sgradite passano sotto silenzio, anche se ci mettono a disagio, perché farlo notare ci fa sentire anche peggio. Si viene additate come femministe esagitate, antipatiche rompiscatole, puntigliose eccessive, incapaci di farsi una risata, e questo nella migliore delle ipotesi. Molte scrittrici e giornaliste, famose o emergenti, si sono occupate di questo argomento. Le raccolte di frasi fatte che ci propongono nei loro articoli e libri fanno rabbrividire chiunque abbia un minimo di coscienza. Sono parole che abbiamo ascoltato sempre, reputandole ineluttabili come il sole che sorge, ma sono pesanti come pietre nel cuore.
Sulla rivista on line Heraldo, Barbara Salazer ha pubblicato l’esito di un breve sondaggio fatto su Facebook «senza valore statistico ma con altissimo contenuto umano (cit.)». Con un semplice post Salazer ha chiesto alle donne di condividere esperienze e frasi che avevano provocato una ferita dentro di loro. Il sondaggio è durato molto poco perché è stata subito inondata da una caterva di commenti e messaggi privati. «Ci siamo confrontate, prese in giro e rincuorate, ci siamo sentite per un pomeriggio tutte meno sole di fronte a una violenza che non va sui giornali, strisciante e subdola e per questo complessa da sradicare» spiega Barbara Salazer. L’importanza della condivisione è pari solo a quella di una reazione corretta e corale.
L’ultimo libro di Michela Murgia si intitola Stai zitta e altre nove frasi che non vogliamo sentire più. Da sempre impegnata sul fronte della parità, l’autrice affermata in questo saggio si occupa di catalogare, contestualizzare e successivamente demolire tutte le frasi più comuni che implicitamente o esplicitamente contribuiscono a sminuire una donna in quanto tale. Percepire il femminile come un fenomeno a parte è la causa di gran parte di questi atteggiamenti.
Qualche anno fa, Paola Cortellesi stupì la platea con un testo di Bartezzaghi: il monologo proposto consisteva in un lungo elenco di termini italiani declinati al maschile e al femminile. Lo stupore nel constatare quanto sia diversa la percezione della stessa parola attribuita a un uomo o a una donna ammutolì il pubblico. Un esempio chiarificatore: buon uomo e buona donna.
Di fronte alla questione delle parole corrette, c’è sempre qualcuno che dichiara che «i problemi sono ben altri». Spostare l’attenzione è uno dei meccanismi preferiti dal sistema patriarcale per mantenere lo status quo. E a farlo non sono solo uomini ma anche donne, perché il brodo culturale in cui siamo cresciute è talmente denso da rendere difficoltoso anche solo uno sguardo oltre la superficie.
Erna Corsi
Non siamo purtroppo abituati a riflettere sull’atto di comunicare che è importantissimo nella vita relazionale. Una parola può essere un’arma che ferisce, uccide, stigmatizza, ammanta di falsi significati. Addirittura a volte basta il tono con cui una parola viene pronunciata per gettare il dubbio su una persona. Secondo il grande linguista Vygotskij, il linguaggio è in stretta relazione con il pensiero perchè può trasformarlo e influenzarlo; in modo similare anche il pensiero influenza il linguaggio, a volte sopravanzandolo, a volte facendosi sopravanzare; nel corso della vita linguaggio e pensiero si integrano in continuazione. Risulta quindi chiaro l’effetto che una frase, un commento discorso, una credenza, un proverbio possono avere nella percezione sociale della donna.
Nel commento precedente nella decima riga c’è una parola in più, “discorso”. Mi scuso con le lettrici.