«Vorrei che le donne si informassero. Prima della malattia difficilmente si avvicinano all’argomento, se la malattia si presenta, avviene all’improvviso e la donna non sa come muoversi.»
Oggi parliamo di tumore al seno e abbiamo come ospite del nostro blog la presidentessa dell’associazione Iosempredonna ODV e dell’associazione Toscana Donna, Pinuccia Musumeci. Dal sito di Iosempredonna troviamo scritto che: «L’associazione Iosempredonna, costituita nel febbraio 1997, opera per diffondere la cultura della prevenzione e sostenere le donne che vivono o hanno vissuto l’esperienza del cancro al seno. Nata dall’esperienza di una donna operata, dedicata a chi conosce lo stesso destino, pensata per chi trova difficoltà nella malattia, voluta per sollecitare l’opinione pubblica e trovare i percorsi giusti integrati da azioni, sempre in collaborazione con gli operatori sanitari.» Abbiamo quindi deciso di intervistare la presidentessa.
Buongiorno Pinuccia, noi ci conosciamo già e so che lei fa tante cose, ma io sono un po’ confusa quindi partirei da una domanda semplice: di cosa si occupa prevalentemente da un po’ di tempo a questa parte?
«Nell’ultimo mese, concorso letterario sul tema tumore al seno, convegno sulle terapie all’avanguardia, eventi sull’importanza della prevenzione.»
Ma lei è presidente di varie associazioni, o sbaglio?
«Sì, di Iosempredonna ODV e di Toscana Donna. Iosempredonna è l’associazione di primo livello, costituita nel ’97 dopo la mia esperienza del tumore al seno; Toscana Donna è l’associazione di secondo livello che coordina le associazioni toscane che si occupano di tumore al seno.»
Ed è presidente di entrambe?
«Sì.»
Cosa significa primo livello e secondo livello?
«Il primo livello è costituito da persone, il secondo livello da associazioni.»
Perciò nel suo percorso è nata prima Iosempredonna, che ha fondato, giusto?
«Sì, Toscana Donna è attiva dal 2002, Iosempredonna dal 1997. Ultimamente mi sto dedicando a far sì che i test genomici diventino realtà.»
Quindi la sua storia di associazionismo e di attività di sensibilizzazione nasce dopo la sua esperienza diretta con il tumore al seno, dico bene?
«Sì, ventisette anni fa.»
Ventisette anni fa la situazione a livello informativo e clinico era molto diversa rispetto a ora, immagino.
«Non si parlava di tumore al seno. Le donne che avevano incontrato la malattia lo nascondevano, non c’era tutto questo movimento che è stato creato dalle associazioni.»
Come ha vissuto questa decisione, quindi? Era sola?
«Sì, la solitudine è stata molta; non poter condividere è stata una sofferenza e la paura che aleggiava sul tema ha contribuito a darmi solo informazioni negative sulla malattia. Ho capito che dovevo fare qualcosa. Mi sono data tempo per rimettermi un po’ e poi ho iniziato a parlarne, ma inizialmente, con un colpetto sulle spalle, venivo “liquidata” velocemente…»
Le adesioni sono arrivate spontanee o inizialmente le donne ancora rimanevano chiuse in loro stesse?
«Quando ho iniziato a parlare di associazione, l’adesione è stata alta. Le donne avevano bisogno di qualcuno che aprisse questo “velo” che copriva l’argomento.»
Quali sono state le prime iniziative?
«Informazione itinerante in tutti i comuni del mio territorio. Con i medici andavamo in giro a dare informazioni corrette sull’argomento, creando appuntamenti in teatri, sale comunali, ecc.»
Deve essere stato impegnativo ma anche gratificante.
«Molto. Molto impegnativo anche a livello emotivo perché sono una persona riservata e ho dovuto rompere quella voglia di stare sempre da una parte, per far sì che altre donne non provassero ciò che avevo vissuto io»
Quante iniziative ha sviluppato l’associazione da quando è nata a oggi? E quali sono le più importanti?
«Non saprei davvero! È tutta una rete ora, per cui un convegno si unisce all’altro, le iniziative si agganciano, gli argomenti si sviluppano in base all’esigenza del territorio che ora è diventato sempre più esteso, non ci sono confini. Collaboriamo con la Sicilia come con la Lombardia, l’associazione di secondo livello è più presente a livello regionale e poi comunque si interseca con le attività della persona, con i contatti, con le relazioni.»
Siamo alla fine del mese della prevenzione, ha un messaggio che si sente di portare oggi?
«Vorrei che le donne si informassero. Prima della malattia difficilmente si avvicinano all’argomento, se la malattia si presenta, avviene all’improvviso e la donna non sa come muoversi. Aderire a un’associazione sembra quasi come riconoscere la malattia e darle vita, ma è il contrario: più la conosci e più riesci ad attivarti per avere percorsi migliori, per avere qualità nella cura, e qualità di vita nella cura»
Perché, diciamolo, le cure, anche le più leggere, sono pesanti da affrontare e farlo con consapevolezza e informazione può fare la differenza.
«C’è molta differenza: a volte la donna “subisce” la malattia, perché non sa che potrebbe stare meglio confrontandosi, piccoli accorgimenti che sono grandi risorse.»
Adesso si sta battendo affinché il test del genoma sia una realtà accessibile a tutte, può raccontarci meglio di cosa si tratta?
«Sì, e perché le delibere diventino attuative. Anche se molte Regioni hanno finalmente recepito il decreto del Governo, attraverso appositi provvedimenti, tocca ora far diventare operativa la disponibilità del test in ogni ospedale. Ci sono gare da avviare che provocano ulteriori ritardi burocratici e amministrativi. Stiamo perdendo tempo prezioso, ogni giorno che passa decine di donne rischiano di non accedere ai test che possono evitare chemioterapie inutili, là dove i test sono stati approvati, la burocrazia frena; eppure, ci sarebbe un risparmio economico ingente oltre al risparmio di sofferenza.»
Da cosa dipende secondo lei?
«Credo che sia sempre il discorso di imboccare una nuova strada, che sia difficile lasciare le cose che si conoscono per intraprendere una strada nuova. Impegna, ci sono impegni di spesa immediati da affrontare che poi si risolverebbero in un risparmio ingente: il test ha un costo che si aggira sui 2/3.000 €, mentre un ciclo di chemioterapia ha un costo di 7/8000 €, oltre al risparmio di tutte le spese collaterali, come parrucche, medicinali, creme particolari… Per non parlare della conduzione del lavoro e della famiglia, del risparmio delle sostituzioni sul lavoro, del risparmio di viaggi e di visite per consulenze.»
Quale delle due associazioni La impegna di più e cosa fa con l’associazione di secondo livello?
«Come dicevo prima, il lavoro e l’impegno con l’una si intersecano con l’altra fino a diventare un’unica voce. Con Toscana Donna c’è un lavoro più diretto con i decisori, con i politici, i dirigenti e le amministrazioni. Abbiamo peso perché rappresentiamo tutto il territorio regionale. I temi sono gli stessi, ma cerchiamo di uniformare la sanità nel territorio regionale per far sì che l’offerta sanitaria sia uniforme e non a macchia di leopardo come era prima.»
Ci sono molte associazioni di primo livello ora in Toscana?
«Le associazioni sono quattordici e siamo la prima regione ad avere questo secondo livello. Ora ci stanno seguendo l’Umbria, la Sicilia e altre. Mettere insieme questa rete non è facile perché viene frainteso il lavoro (che per noi è molto chiaro).»
Come viene frainteso?
«Non è una gara a chi fa meglio, ma è indirizzare il lavoro su un livello diverso. Insieme progettare sui temi comuni, focalizzare le carenze sanitarie della propria regione e portare avanti le richieste per modificare la sanità. Per esempio in Toscana abbiamo raggiunto questi obiettivi: ampliamento della fascia di screening mammografico: da 45 anni a 74 (prima era 50/69); reinserimento delle donne dopo il follow up nello screening mammografico; test genetico gratuito e, per chi risulta mutata geneticamente, tutti i controlli con esenzione ticket per le persone sane; inserimento della figura dell’oncologo senologo nella commissione di invalidità; Test Genomico gratuito per evitare la chemioterapia quando è possibile. Questi temi possono essere affrontati solo se ci si presenta a nome di tante donne e associazioni: i numeri per i decisori sono importanti, quindi il lavoro è diverso.»
Va bene, direi che l’ho trattenuta abbastanza, in bocca al lupo e buon lavoro.
«Grazie a voi di LAF».
Laura Massera