Le tante vite di una compagnia, nata per fare teatro con un suo linguaggio e una sua cifra stilistica ben specifica, che vive ogni nuovo lavoro come una rinascita.
Dal 2009, anno di fondazione, la compagnia teatrale Gatto Rosso ha cambiato assetto diverse volte mantenendo però sempre Federica Carteri e Roberta Zonellini alla regia. Noemi Pezzini e Marina Rosetti sono entrate nel gruppo di lavoro solo da alcuni anni, formando con loro un quartetto coeso e propositivo. Con la scelta di testi particolari e la messa in scena basata principalmente sulle emozioni, le quattro donne danno vita a spettacoli intensi e innovativi. Le abbiamo incontrate per capire come sia nata questa particolare alchimia che le porta a rimanere unite e creative insieme anche in questo periodo che il distanziamento sociale ha reso così difficile per il mondo dello spettacolo.
Con quali obiettivi nasce la compagnia teatrale Gatto Rosso?
Roberta: «Gatto Rosso nasce dalla volontà di alcuni studenti di teatro di provare a mettersi in gioco autonomamente portando in scena uno spettacolo da soli.»
Federica: «Arriva un momento in cui devi crescere, uscire dai “banchi di scuola” e metterti alla prova con le tue forze. Continui a studiare, certo, ma è il momento di creare, raccontare, sperimentare. Quello è il punto di svolta in cui entri in una compagnia o, se sei molto determinato e convinto di quello che vuoi, fondarne una tua.»
Perché siete un gruppo di sole donne?
Roberta: «Nel corso degli anni il gruppo iniziale è imploso e siamo rimaste solo Federica e io. Dopo diversi arrivi e dipartite abbiamo trovato un ottimo equilibrio sul piano umano e lavorativo in questo gruppo che è formato da sole donne. È stato un caso, non una scelta.»
Noemi: «Abbiamo avuto modo di lavorare con diverse persone: alcune sono arrivate in scena con noi, altre le abbiamo perse ancor prima del debutto. Ma non è successo solo con figure maschili.»
Non utilizzare interpreti maschi come condiziona il vostro lavoro?
Noemi: «Non lo condiziona. Ci è capitato più volte di interpretare parti maschili. In genere non ci travestiamo da uomini, è l’intenzione che mettiamo nel movimento che fa la differenza. In realtà spesso non è fondamentale per le nostre produzioni far capire al pubblico il sesso del personaggio.»
Marina: «Ai tempi di Shakespeare le donne non erano ammesse nelle compagnie e gli uomini interpretavano tutti i ruoli, senza che nessuno si sorprendesse per questo. Nel 2021 siamo ancora qui a parlare di ruoli e condizionamenti? Esistono gli interpreti, a prescindere dal loro sesso, mi piacerebbe pensare che non c’è differenza, che quando salgo sul palco posso essere chi voglio. Non è forse questa la magia del teatro?»
Ora, rimanere solo donne è una scelta?
Federica: «No, non è stata una scelta, tuttavia abbiamo raggiunto un equilibrio molto soddisfacente. Se devo interpretare un carattere lo approccio semplicemente come personaggio: quello che sente, pensa, desidera o teme. Ci è capitato di fare un corto in cui Macbeth e Lady Macbeth erano entrambe donne ma questo non ha tolto forza ai personaggi. Siamo un gruppo che non si fa condizionare dall’identità di genere.»
Marina: «Non c’è nulla di prestabilito a tavolino: abbiamo maturato una sinergia straordinaria, abbiamo avuto la fortuna di trovarci e creare un feeling fortissimo, rafforzato dall’affetto enorme che proviamo per ciascuna di noi, sentimento che va oltre il palcoscenico.»
Come operate la scelta di un testo?
Federica: «La verità è che abbiamo più idee che tempo per realizzarle. Personalmente tendo a mettere troppa carne al fuoco, sono iperattiva e iperproduttiva. Il mio problema più grande è imbarcarmi in molti progetti contemporaneamente, ma questo non mi porta mai a realizzarli in maniera superficiale. La scelta poi è in base all’ispirazione del momento. Perlopiù espongo le idee al gruppo e insieme decidiamo cosa fare, poi in corso d’opera si accavallano altri progetti. D’altra parte, per realizzare una produzione teatrale ci vogliono mesi e in così tanto tempo succedono un sacco di cose.»
Noemi: «Quando Federica scrive, a noi resta solo l’imbarazzo della scelta.»
Come sono suddivisi i ruoli e le mansioni da svolgere all’interno della compagnia?
Roberta: «Non ci sono ruoli stabiliti e lo spettacolo nasce dalla collaborazione di tutte, siamo aperte a qualsiasi proposta venga da ognuna di noi.»
Noemi: «Federica, oltre a scrivere i testi, sceglie anche le musiche che sono fondamentali per noi, è da qui che partiamo con le improvvisazioni che ci portano a costruire lo spettacolo. Lei e Roberta sono perfettamente affiatate e lavorano come se fossero un’unica persona, io e Marina veniamo catapultate nelle loro idee e accogliamo sempre tutto con grande entusiasmo.»
Solitamente come impostate la lavorazione per lo spettacolo?
Federica: «Facciamo laboratorio lavorando sulle emozioni e intenzioni che saranno coinvolte e il lavoro prende forma: fissiamo delle sequenze, montiamo delle scene, lavoriamo sui personaggi sia singolarmente che in gruppo. Tutto parte con la musica e il lavoro sul corpo, nel contempo prendono forma i costumi che condizionano i movimenti e quindi vanno identificati e decisi prima possibile, le scenografie sono quasi inesistenti perché utilizziamo pochissimi elementi in scena, e poi lavoriamo con le luci. Per ultimi arrivano il testo, la memoria, l’interpretazione, ma essendo molto avanti il lavoro sul corpo che ha una sua emotività, le battute vengono naturali.»
Noemi: «Per alcuni lavori il copione ci è stato consegnato solo alla fine, quando quasi tutto era stabilito; per non lasciarci condizionare dalle parole preferiamo unirle ai movimenti e alle intenzioni solo quando queste sono già definite: è un sistema che ci permette di evitare movimenti quotidiani che risulterebbero scontati.»
Cosa state preparando?
Noemi: «Al momento stiamo preparando Questione di mele, uno spettacolo brillante che ci metterà davvero alla prova; Prima serata è un lavoro particolare, tecnicamente complesso e tutto in divenire. Abbiamo pronto Salem saloon, un corto western che ci ha fatto tanto divertire mentre lo preparavamo, e poi qualche progetto video tra cui Il Castello errante di Howl.»
Roberta: «Durante il lockdown, non potendo provare assieme, abbiamo ricreato e reinventato esercizi che si fanno durante i seminari, trasformandoli in video teatrali.»
Quindi riuscite a provare malgrado le restrizioni?
Marina: «Fisicamente non insieme ma non ci scoraggiamo e lavoriamo in smart working, ognuna a casa propria e poi ci passiamo i video.»
Federica: «Il teatro al tempo del Covid in realtà ci ha regalato una grande opportunità perché ci costringe a usare mezzi come l’audiovisivo, a cui magari non saremmo approdate, ma soprattutto costringe ognuna di noi a essere regista di se stessa oltre che attrice. Credo che tutto questo lavoro su di noi darà grandissimi frutti: trovare modi nuovi e diversi può solo significare un’evoluzione, una crescita. Dobbiamo fare tesoro di quanto appreso in quest’ultimo anno e integrarlo nel lavoro di laboratorio quando sarà finalmente possibile tornare a farlo.»
Quali sono le conseguenze delle misure restrittive per le compagnie come la vostra?
Federica: «L’impossibilità di andare in scena è molto dolorosa. Quando manca il pubblico manca un elemento fondamentale che è il flusso di empatia e di energia che aziona il motore della performance. Inoltre, l’aspetto economico non è da sottovalutare, ma dove c’è volontà c’è una via.»
Marina: «Non sentire il pubblico e l’adrenalina manca molto. Noi siamo sempre pronte a metterci in gioco, anche a distanza; abbiamo imparato a lavorare diversamente, a sperimentare cose nuove e tutto questo resterà per sempre perché è solo un modo diverso di fare teatro.»
C’è uno spettacolo fra quelli che avete messo in scena insieme al quale sei rimasta particolarmente legata?
Federica: «È come chiedere a un genitore a quale figlio vuole più bene. Li amo tutti, anche quelli più acerbi, quelli zoppicanti, quelli che non sono piaciuti o che non sono stati capiti e ringrazio tutti coloro che hanno partecipato e che li hanno resi possibili.»
Roberta: «Ovviamente sì, più di uno in realtà. Farei prima a dire quelli che non ho particolarmente amato!»
Quali sono i punti di forza del vostro gruppo?
Marina: «L’unione, la passione, la dedizione, i sacrifici e la determinazione. Non siamo mai stanche di lavorare sul pezzo e siamo sempre pronte a sostenerci a vicenda. La cosa che ci unisce è una sola: l’amore. L’amore per il teatro, per il lavoro e per noi stesse; siamo donne forti ma insieme lo siamo ancora di più.»
Roberta: «Non sappiamo dire di no a nessuna idea che ci venga proposta, sempre che ci sia data la possibilità di esprimerci a modo nostro. Siamo più una famiglia che un gruppo teatrale, c’è rispetto per il lavoro di tutti, c’è la volontà di creare, la necessità di esprimersi ognuna con le proprie capacità e possibilità.»
Che progetti avete per il futuro?
Federica: «Continuare a studiare, perché quando pensi di sapere tutto è il momento che smetti di imparare. Sperimentare il più possibile e rimanere fedeli a noi stesse.»
Marina: «Questo è un mestiere che si riesce a portare avanti solo con l’umiltà e l’essere consapevoli che c’è sempre qualcosa da imparare.»
Roberta: «Riuscire a mettere in scena tutte le infinite idee che ci verranno in mente.»
Noemi: «Non basta una vita intera per realizzare tutto, ma ci incontreremo e ci sceglieremo di nuovo anche nelle prossime vite.»
Erna Corsi
Foto in alto: Compagnia teatrale Gatto Rosso – Foto di scena