Speciale 25 novembre 2021. Se il passo della consapevolezza è il più difficile da compiere, le difficoltà immediatamente successive non sono affatto da meno.
C’è un’illustrazione dei Peanuts in cui Linus chiede a sua sorella Lucy: «Dove hai trovato la forza?» e Lucy gli risponde: «Siamo donne, tesoro, la forza trova noi.» Chiaramente non è una vignetta originale, ma ho sempre trovato questa frase molto vera ed è tornata prepotentemente viva nei miei pensieri dopo aver visto Maid. La miniserie Netflix, uscita lo scorso ottobre, si snoda in dieci puntate ed è tratta dal romanzo di Staphanie Land Donna delle pulizie. Lavoro duro, paga bassa e la volontà di sopravvivere di una madre. In poco più di nove ore ci viene raccontato un anno di vita di Alex, giovanissima madre che, per il bene di sua figlia e suo, decide di allontanarsi andare via di casa con la bambina.
Ma da cosa scappa Alex? Scappa da una realtà che le sta stretta da un po’ ma che, una sera, le ha messo una gran paura addosso. Scappa da una situazione di violenza psicologica che lei stessa non sa nemmeno riconoscere, che sminuisce, ma che istintivamente capisce sbagliata. Ha pochi dollari in tasca e non sa dove andare. Si rivolge ai servizi sociali che non possono fare più di tanto. Trova un lavoro sottopagato e insufficiente al sostentamento suo e di sua figlia e userà dei sussidi che l’aiuteranno solo marginalmente. È sola, Alex, sua madre non la sostiene, anzi è quasi d’intralcio, e il sistema non la tutela. La sua lotta non è solo contro una cultura sbagliata, un circolo vizioso da cui lei e chi ha intorno non riesce a uscire, spesso non riconoscendone il pericolo, ma anche contro una società che affossa la volontà delle donne che vogliono farcela perché non dà loro i mezzi per rialzarsi.
Guardando questa serie mi sono resa conto di quanta solitudine ci sia in certe situazioni, della scarsa empatia, delle gabbie morali e sociali in cui le donne sono ancora costrette. Nella nostra intervista a Giovanna Sottosanti, presidente dell’associazione 365GiorniAlFemminile, vi abbiamo parlato di centri antiviolenza e di case rifugio, ma abbiamo sottolineato anche l’importanza della sensibilizzazione e della presa di coscienza della donna abusata. Questo è un passo molto difficile da compiere, sia per paura che per ignoranza, molto spesso per non consapevolezza. C’è una scena emblematica nella seconda puntata della serie. Alex parla con l’assistente sociale che le propone la casa rifugio, questo lo scambio:
«Ci sono dei letti al ricovero per vittime di violenza domestica ma non sei stata maltrattata.»
«Già, non vorrei togliere un letto a chi ha subito un vero abuso.»
«Un vero abuso? Spiegati meglio.»
«Botte, ferite.»
«E gli abusi finti quali sono? L’intimidazione? le minacce? Il controllo?»
Da quel momento in poi Alex si rende conto di essere vittima di violenza psicologica e comincia il suo cammino verso la propria autonomia. Senza una piena coscienza di quello che sta accadendo è molto difficile tirarsene fuori, ma ci sono molte altre difficoltà che arrivano dopo. Queste difficoltà si possono affrontare se si crea una rete d’aiuto e se la società si deciderà, una volta per tutte, a snellire certi procedimenti e dare una mano concreta a chi ne ha bisogno. Però, se l’evoluzione burocratica procede a passi più che lenti, almeno sulla solidarietà delle donne dovremmo poter contare. Importantissimo è il sostegno e ancora di più tendere una mano, cosa che (quasi) nessuno ha fatto con Alex nella serie e con Stephanie nel libro, ma che invece è la prima cosa da fare per far uscire una donna dal pozzo nero in cui è rinchiusa.
Serena Pisaneschi
Foto in alto: la locandina della serie Netflix