Questo il tema del convegno 1992-2021 promosso da APIDonne Confimi Verona, in collaborazione con il Gruppo Donne di Confimi Industria che si è reso promotore di una Proposta di Legge per favorire le imprenditrici che si occupano attivamente della gestione d’impresa.
Riscrivere la definizione di “impresa femminile” per rispondere alle esigenze dell’economia reale e per cogliere le opportunità offerte in particolare dalla Missione 5 del PNRR (Piano nazionale di ripresa e resilienza) che prevede finanziamenti in supporto della formazione e dell’incidenza femminile in Italia. Questo il tema del convegno “1992-2021. È tempo di riscrivere l’impresa femminile. La nostra proposta di legge” che si è tenuto il 20 novembre 2021, al Palazzo della Gran Guardia di Verona, ed è stato organizzato dal Gruppo APIDonne Confimi Verona, in collaborazione con il Gruppo Donne di Confimi Industria e il Dipartimento di Scienze giuridiche dell’Università di Verona
Sono oltre 1 milione e 300 mila le imprese femminili in Italia, circa 1 su 5 (dati Unioncamere), ma potrebbero essere molte di più. A denunciare quanto queste percentuali siano penalizzanti è stato il Gruppo Donne di Confimi Industria, promotore di una Proposta di Legge per favorire le imprenditrici che si occupano attivamente della gestione d’impresa. Sfida al centro del convegno organizzato da APIDonne.
«Aver presentato una Proposta di Legge che ridefinisca i confini di cosa sia “impresa femminile” è di certo un traguardo importante per il Gruppo Donne di Confimi Industria. In pochi mesi, siamo partite a giugno, abbiamo raccolto non solo l’interesse di tutte le forze politiche, ma abbiamo raggiunto l’obiettivo: la PDL è stata depositata con la firma dell’On. Elena Murelli e presentata alla Camera dei Deputati a settembre», ha spiegato Vincenza Frasca, presidente nazionale del Gruppo Donne Imprenditrici Confimi Industria.
«Abbiamo voluto ampliare una definizione ferma al 1992, non più rispondente della struttura economica e produttiva italiana. Un’estensione che valga come riconoscimento per l’impegno che ogni giorno le donne a capo di un’azienda mettono nel far crescere la propria realtà contribuendo alla ricchezza dell’intera comunità sociale e territoriale», ha proseguito. Ma c’è di più: «La proposta ripercorre esattamente le linee guida del Governo che all’interno della scorsa Legge di Bilancio e del PNRR ha reputato necessario inserire risorse destinate all’empowerment femminile, alle imprese cosiddette “rosa”, alla formazione continua e scientifica delle donne. Ci piace pensare di contribuire con il nostro lavoro al raggiungimento di obiettivi comuni e perché no comunitari». Nella proposta si interviene anche in termini di inclusione ed equità, nell’ottica di soddisfare l’obiettivo governativo di oltre 700 nuove aziende femminili entro il 2024 e 2.400 nel 2026.
Secondo la Legge 215/92 è considerata impresa femminile la società cooperativa e la società di persone, costituita in misura non inferiore al 60% da donne, e la società di capitali le cui quote di partecipazione spettino in misura non inferiore ai 2/3 a donne e i cui organi di amministrazione siano costituiti per almeno i 2/3 da donne.
«Parametri troppo limitativi rispetto alla realtà dell’attuale panorama imprenditoriale femminile. Cercando di fare degli esempi concreti, erano poche le donne che, alla luce della vecchia disposizione, potevano dirsi effettivamente imprenditrici femminili, mentre la realtà socio-economica rappresentava una fattispecie molto più estesa», ha evidenziato Andrea Caprara, professore di Diritto commerciale del Dipartimento di Scienze giuridiche dell’ateneo scaligero. «Per incentivare la nascita di imprese femminili e sostenere quelle già esistenti attraverso una serie di strumenti, previsti nel PDL, era importante ridefinire il concetto di impresa femminile per renderlo più vicino alla realtà socio-economica esistente» ha aggiunto. «In quest’ottica, si è pensato di valorizzare non soltanto l’aspetto proprietario, ma di contestualizzare, alla luce delle modalità di organizzazione delle imprese sia individuali che collettive, la partecipazione effettiva delle donne alla governance.»
Se è corretto mantenere il concetto di quota maggioritaria, è opportuno riconoscere come imprese femminili le società cooperative e le società di persone, costituite in misura non inferiore al 51% da donne e le società di capitali le cui quote di partecipazione spettino in misura non inferiore al 51% a donne e/o i cui organi di amministrazione siano costituiti per almeno il 51% da donne. Con questo cambiamento, per esempio, nel manifatturiero le imprese femminili crescerebbero dal 14 al 33%.
«Nessun settore è precluso alle imprenditrici», ha sottolineato Chiara Faccioli, funzionario dell’Ufficio Relazioni industriali di Apindustria Confimi Verona, elencando la varietà di ambiti in cui esse declinano l’impegno. «Tutte le esperienze di queste grandi persone hanno come comune denominatore la capacità di portare avanti un’azienda anche da sole, nonostante in alcuni casi con vicissitudini purtroppo drammatiche, prendendo decisioni e facendosi carico di tantissime responsabilità, compresa quella di mantenere i livelli occupazionali e quindi altrettante famiglie quando le operazioni più semplici potevano essere altre», ha segnalato. Donne che si sono ritrovate a combattere contro atteggiamenti reticenti nel momento in cui, ad esempio, sono subentrate nella gestione dell’impresa di famiglia: «Dimostrare di essere all’altezza è costato sforzo e duro lavoro quotidiano, senza mai abbassare la guardia. Non dimenticando né perdendo mai di vista l’importanza degli investimenti in formazione, nella continua ricerca, nello sviluppo e aggiornamento dei processi tecnologici uniti alla massima cura e attenzione per ogni singolo processo produttivo, per mantenere sempre alti i parametri di qualità e soddisfazione dei clienti».
Il percorso professionale portato ad esempio, al convegno APIDonne, è stato quello di Chiara Maffioli, imprenditrice veronese: da cinque anni amministratore delegato della società fondata dal padre negli anni Sessanta, lo Scatolificio Maffioli & Turrina, in precedenza avvocato donna che ha esercitato tra Milano e Roma. «Oggi sono una delle rarissime CEO» ha rimarcato. «Meno del 5% degli amministratori delegati è donna e questa percentuale così modesta è il riflesso dell’enorme disequilibrio tra uomini e donne che nel 2021 sussiste nel mondo del lavoro.» Quale valore aggiunto può dare la presenza di un’imprenditrice? «Può comprendere e praticare, soprattutto nell’impresa, che non c’è organizzazione e gestione sostenibile senza relazione e valorizzazione di legami. E questo le donne sono naturalmente portate a farlo: sono brave nel dare valore ai legami e nella condivisione dei valori in cui credono.» Questione di cultura che deve appartenere a chi si occupa di imprese: «Chi le guida si deve sentire parte responsabile di questo costante processo educativo che guarda al futuro» ha concluso la manager. «Così possono essere un luogo straordinario per sperimentare l’umanità».
Le sfumature dell’imprenditoria femminile
- 1.336.646 sono le imprese guidate da donne. In Italia rappresentano il 22% del totale, e sono per lo più di piccole dimensioni e concentrate nel settore dei servizi secondo il Rapporto Imprenditoria Femminile di Unioncamere (aggiornato al 31 dicembre 2020).
- Operano soprattutto nei settori di servizi/commercio e turismo (39%), seguono meccanica (25%) e alimentare (8%). Nel 40% dei casi fatturano 500 mila euro l’anno. Il 15% delle imprenditrici del manifatturiero ha esperienza almeno ventennale; inoltre 7 imprenditrici su 10 sono alla guida della loro azienda, mentre le restanti 3 su 10 curano per lo più aspetti legati alla gestione finanziaria e marketing, secondo i dati dell’indagine conoscitiva Imprenditoria femminile del sistema Confimi Industria (aggiornati al 21 dicembre 2020).
Sintesi della proposta presentata al convegno APIDonne
Il sistema produttivo italiano è composto per il 92% (Indagine di Prometeia per Infodata del Sole24Ore, ottobre 2019) da PMI che sono in prevalenza a conduzione familiare. Aziende e industrie che si tramandano di generazione in generazione, a figlie e figli. Per tutelare e valorizzare questa specificità e non penalizzare le imprenditrici che si occupano attivamente della gestione d’impresa, la proposta prevede di estendere la definizione di impresa femminile, pur mantenendo il concetto di quota maggioritaria, a:
- società cooperative e società di persone costituite in misura non inferiore al 51% da donne;
- società di capitali le cui quote di partecipazione spettino in misura non inferiore al 51% a donne e/o i cui organi di amministrazione siano costituiti per almeno il 51% da donne;
- imprese individuali gestite da donne, che operino nei settori dell’industria, dell’artigianato, dell’agricoltura, del commercio, del turismo e dei servizi.Foto in alto: ApiDonne – Convegno del 20 novembre 2021