Eleonora Petrucci: classe 1995 e una bella laurea in ingegneria meccanica

Eleonora Petrucci
Una giovanissima donna oltre il consueto appena laureata con centodieci e lode e già al lavoro sopra, dentro e sotto i treni.

Conosco Eleonora Petrucci da quando era giovanissima. Il suo temperamento brillante e determinato e gli splendidi traguardi raggiunti sono la conferma che non ci sono limiti agli obiettivi di una donna. Anche per smentire coloro che sostengono che le donne non sono adatte alle materie STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics) l’abbiamo contattata dall’altra parte del mondo per farci raccontare la sua storia.

Ci racconta qualcosa del suo percorso di studi?

«Mi sono iscritta al liceo scientifico nel 2009, essere una ragazza in quel tipo di scuola significava ancora rappresentare una netta minoranza. Al quinto anno, dei ventotto iscritti iniziali eravamo rimasti in quattordici, di cui cinque femmine e nove maschi. La situazione nelle altre sezioni non era dissimile. Nel frattempo, accarezzavo il sogno di poter entrare in Marina Militare: una visita guidata sulla Nave Scuola Amerigo Vespucci mi aveva enormemente affascinato e avevo fatto dell’ammissione ai corsi dell’Accademia Navale di Livorno il mio obiettivo principale. È proprio intorno a questo che avevo incentrato tutta la mia carriera di liceale.»

Si è diplomata con un ottimo voto, ma se non ricordo male fu un anno piuttosto impegnativo. Ce ne vuole parlare?

«L’ultimo anno di liceo è stato uno dei più impegnativi che io abbia mai vissuto. Oltre a dover preparare la maturità, prendere la patente e la cintura nera a karate, da settembre avviai l’iter concorsuale finalizzato all’ammissione in Accademia. I candidati furono circa quattromila, per centootto posti, motivo per cui la selezione cominciò molto presto e si protrasse per circa nove mesi. Onestamente non riesco nemmeno a ricordare con esattezza la successione di prove scritte, orali, fisiche e mediche che sostenemmo come candidati, viaggiando in diverse città italiane a ogni nuova convocazione. Conclusasi la maturità, dopo qualche settimana partii per Livorno, per partecipare all’ultima settimana di selezione direttamente in Accademia. Ad agosto arrivò il tanto agognato telegramma: “la SV è dichiarata vincitrice del Concorso Allievi Prima Classe…”. In casa fu una gran festa. Mi ero classificata seconda.»

Cosa è successo in seguito?

«Il primo settembre 2015 mi sono presentata, insieme ai miei colleghi cadetti, ai cancelli dell’Accademia Navale, pronta a cominciare la mia nuova vita. In realtà quel primo breve contatto col mondo militare si dimostrò ben distante da quelle che erano le mie aspettative, e cominciò a insinuarsi il dubbio che, forse, per quel tipo di vita non fossi tagliata, sia per carattere che per interessi. Dopo qualche settimana, ormai fermamente convinta che quello del militare non potesse affatto essere il mio ruolo nella società, firmai le dimissioni, saltai sul primo treno e tornai a Firenze.»

È stata una scelta difficile?

«In un primo momento l’idea di ritirarsi era del tutto inconcepibile. Ero perfettamente consapevole che, dopo quel risultato e tutti i sacrifici che erano stati fatti da me e dalla mia famiglia, la rinuncia al posto non era neanche lontanamente immaginabile. Il pensiero che tutto quello per cui avevo lavorato così duramente nei mesi e negli anni precedenti non potesse essere adatto mi terrorizzava. Mi rendo conto che sia stato un finale frettoloso e poco avvincente, decisamente non degno di tutto il preambolo iniziale: per quanto lungo e complesso fu il percorso in ingresso, l’uscita fu decisamente rapida. Questo non significa che non sia stata una decisione sofferta e soppesata, ma all’epoca mi pareva del tutto inevitabile. Quando racconto questa storia mi viene chiesto spesso se rimpiango la scelta che ho fatto e la risposta è sempre la stessa: assolutamente no. Tre giorni dopo ero in aula a seguire il corso di analisi I, presso la facoltà di ingegneria dell’Università degli Studi di Firenze.»

Perché ha scelto proprio questo tipo di studi?

«Scelsi di studiare ingegneria meccanica perché fin da bambina dicevo che avrei voluto essere un inventore. Leggevo i fumetti di Topolino e ammiravo Archimede. Non ho idea di quante macchine del tempo io abbia costruito da piccola frugando nella cassetta degli attrezzi di mio padre, tutte perfettamente funzionanti. L’ingegnere meccanico, a mio avviso, è quanto di più simile ci sia all’inventore nella fantasia dei bambini. Sia il corso triennale che quello magistrale possono essere molto impegnativi, o almeno così è stato per me; tuttavia, con la costanza e la determinazione sono arrivate anche le soddisfazioni. Quando frequentavo il triennio, nella mia coorte le donne rappresentavano circa il 30% su qualche centinaio di studenti; durante il corso specialistico eravamo non più di quindici persone, e io ero l’unica rappresentante del sesso femminile.»

Eleonora Petrucci
Eleonora Petrucci

Quale indirizzo specialistico ha scelto?

«Nel biennio di specialistica con UniFi era possibile scegliere tra sei curricula differenti. Io scelsi veicoli ferroviari perché, tra tutti i mezzi di trasporto, il treno è quello che mi ha sempre affascinato di più. Nel Giardino dell’Orticultura di Firenze, in fondo dove ci sono gli scivoli e le altalene per i più piccoli, c’era un foro nella siepe che separa il parco dalla ferrovia. Quando ero una bambina capitava spesso che, tra una corsa e l’altra, mi intrufolassi tra le frasche per guardare il treno in corsa. Se sparivo, mia madre sapeva dove cercarmi.»

Come si è trovata a frequentare una facoltà STEM?

«Al di là delle difficoltà accademiche, che esistono per tutti indipendentemente dal sesso, il fatto di essere donna può davvero rappresentare un ulteriore motivo di intralcio alla propria carriera. Commenti sarcastici, battute e motti di spirito si verificano con una certa frequenza nelle aule accademiche e, sebbene il più delle volte siano mossi da un ingenuo sentimento di convivialità, a mano a mano possono insinuarsi nella mente di una ragazza giovane portandola, anche inconsapevolmente, a dubitare della legittimità della propria presenza in quella Facoltà. Ci si sente fuori posto a volte, succede.»

Quando parla di commenti e battute sarcastiche a chi si riferisce, professori o studenti?

«Nel mio caso sono sempre stati professori. Cito un episodio per spiegarmi. Durante la prima lezione in dad ci connettiamo con le telecamere disattivate. Ognuno di noi ha una foto profilo che compare sullo schermo, io ne ho una in cui sono truccata e sorrido, mi sembrava una bella foto e, dato che mi avrebbe dovuto rappresentare sul profilo dell’università, l’avevo scelta. Poiché è la prima lezione in assoluto che facciamo, il professore ci chiede di attivare la telecamera così da poterci conoscere. Io sono l’unica ragazza. Non appena attivo la fotocamera compare la mia faccia struccata e assonnata e il commento è “ah tu sei Eleonora, sei più carina nella foto!”. Ci rimasi piuttosto male, soprattutto perché fu l’unico commento fatto sull’aspetto fisico di una persona, non solo in quella lezione, ma anche in quelle successive. Quando queste cose succedono, anche se fortunatamente non tutti i giorni, sono piuttosto avvilenti.»

Ha concluso i suoi studi in tempi rapidissimi, con ottimi risultati ed è già al lavoro. Di cosa si occupa?

«Concluso il corso magistrale tra le diverse possibilità ho scelto di lavorare per un’azienda francese che si occupa di consulenze in materia di ingegneria ferroviaria. Onestamente, non potevo chiedere di meglio: un lavoro stabile e attinente a quel che ho studiato, con la possibilità di viaggiare per il mondo seguendo i progetti a cui mi assegnano. In questo momento sono in India, nella città di Pune. Mi occupo di Testing & Commissioning per il progetto Metro Pune, un impiego che mi porta a lavorare direttamente attorno, sopra e sotto al treno. Sempre per rimanere in tema, sono l’unica donna in un deposito dove circolano circa cinquanta dipendenti al giorno, tra ingegneri e operai. Ancora una volta, la consapevolezza di essere diversa è forte, anche per il fatto che i colleghi sono quasi tutti indiani, ma non mi perdo d’animo, c’è un forte clima di collaborazione e rispetto reciproco.»

Il clima di collaborazione e rispetto che sta riscontrando in India è forse dovuto a un ambiente culturale diverso da quello italiano?

«L’opinione che mi sono fatta è che, essendo le donne ingegnere una rarità in India ancor più che in Italia, c’è un atteggiamento di rispetto quasi ossequioso nei miei confronti. Anche quando sbaglio vengo giustificata immediatamente, o comunque non vengo rimproverata. Francamente, preferirei che non ci fosse alcuna differenza di comportamento, ma tant’è. Al di fuori del posto di lavoro le cose cambiano enormemente. Spesso esco con il mio collega e amico con il quale sto seguendo il progetto, che ha origini indiane; se capita di fermarsi a parlare con dei passanti, anche quando sono io che sto chiedendo un’informazione o facendo un ordine al bar/ristorante, rispondono direttamente a lui, o proseguono la conversazione esclusivamente con lui, anche se conoscono tutti molto bene l’inglese. Mi sembra quasi di essere invisibile.»

Cosa vorrebbe dire a chi sostiene che le materie STEM non sono cose da donne?

«Se c’è una netta disparità tra il numero di iscritte femmine e il numero di iscritti maschi il motivo è da ricercarsi nel fatto che, fino a oggi, questo tipo di mentalità ha sempre prevalso e scoraggiato le ragazze a scegliere facoltà STEM. Francamente non riesco proprio a credere che esista un motivo biologico per cui una donna non debba essere adatta alle discipline scientifiche e tecnologiche; se un motivo esiste, è culturale.»

Ringraziamo la dottoressa Eleonora Petrucci per la sua preziosa disponibilità. Non possiamo che augurarle di continuare il suo percorso di vita con lo stesso entusiasmo e determinazione che fin da bambina la contraddistingue. Eleonora Petrucci è uno dei tanti esempi di donne oltre il consueto, oltre i soliti stereotipi con cui le donne vengono rappresentate.

Paola Giannò

Foto in alto: Eleonora Petrucci al lavoro

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1 commento su “Eleonora Petrucci: classe 1995 e una bella laurea in ingegneria meccanica”

  1. Quando ho letto l’intervista la cosa che più mi ha stupita è stata la risposta alla seconda domanda. Avevo, rispetto alla realtà fotografata dai dati forniti dal Ministero dell’istruzione (trovi il link nella risposta di Eleonora), una percezione nettamente diversa. Pensavo, anche per la mia esperienza personale, che in istituti come il Liceo scientifico la parità di genere fosse un dato di fatto. Mi sbagliavo e ancora non me ne capacito.

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