Una pittrice pistoiese che racconta storie di donne. Ogni tela è un viaggio avvolgente, un impatto che non lascia indifferenti.
Rossella Baldecchi è un’artista pistoiese che, nel corso degli anni, si è affermata nel panorama mondiale. Diplomata all’Accademia di Belle Arti a Firenze insegna al Liceo Artistico e coltiva da sempre una passione sconfinata per la pittura. La incontro nel suo studio, un luogo pieno di luce e tele, dove l’arte letteralmente ci circonda. I suoi dipinti sono così realistici che sembrano fatti di carne e sangue, superano le due dimensioni ed entrano dentro la percezione di chi li osserva sia per intensità e che per significato. Mi accoglie con grande gentilezza e, dopo qualche convenevole e alcuni minuti passati a discorrere di noi, ci sediamo e inizia l’intervista.
Sul suo sito si legge che predilige la tecnica a olio, come mai questa scelta?
«La tecnica a olio è quella che mi si confà di più perché ha tempi molto lunghi mentre acrilici, tempere e acquerelli sono immediati, il colore asciuga subito. Io ho bisogno di plasmare il colore, di intervenire più volte e lavorare per velature. Il colore a olio, anche se una tecnica più elaborata, lunga e complessa, mi permette di seguire l’opera in una maniera che mi consente di ottenere la tridimensionalità, gli effetti che desidero avere. Gli altri materiali, quelli che si dissolvono con l’acqua, li trovo piatti e non mi danno la possibilità di plasmare il colore. È stata una scelta che ho fatto da subito. Ho iniziato a dipingere a olio già da quando frequentavo l’Istituto d’Arte, adesso Liceo Artistico. Poi all’Accademia di Belle Arti ho sperimentato varie tecniche, ma quella a olio l’ho sentita subito mia e non l’ho più lasciata.»
Come “pensa” i suoi quadri?
«I miei lavori non nascono mai a caso, non realizzo mai un’opera fine a se stessa. Ogni mio quadro nasce da qualcosa che mi ha colpito e mi ha lasciato dentro un’emozione forte. Nasce così il desiderio di trasportarla sulla tela e raccontarla agli altri. Ecco, con le mie tele io racconto me stessa.»
Nel corso degli anni ha partecipato a molte esposizioni. Ce n’è qualcuna alla quale è più legata, che più la rende fiera?
«Le mostre a Tokyo e Hiroshima sono state molto emozionanti, per il viaggio, per il contesto e anche per le persone che ho conosciuto. Le prime esposizioni che ho fatto, però, mi hanno dato tanto, mi hanno aperto una strada. È stato bello trovare i primi riscontri, anche se è stato molto difficile perché, essendo donna, ero vista in un altro modo.»
Cioè?
«Le racconto un aneddoto. Avevo ventitré, ventiquattro anni, ero appena uscita dall’Accademia. Feci vedere i miei lavori a un gallerista e lui mi disse che ero molto brava. Io colsi la palla al balzo e, visto l’apprezzamento, gli chiesi di tenere qualche mio quadro nella sua galleria. Lui mi disse di no giustificando il suo rifiuto con il fatto che fossi donna, che mi sarei sposata, avrei fatto dei figli e avrei smesso di dipingere, quindi non poteva investire su di me. A distanza di tantissimi anni posso affermate che lui non fa più il gallerista e io sono ancora qui a dipingere.»
Purtroppo la storia delle donne straborda di episodi come questi.
«Mi capitava anche il gallerista che, riconoscendo la mia bravura, mi chiedesse di dipingere qualcosa di diverso, paesaggi o simili. Io mi domandavo perché avrei dovuto dipingere qualcosa che non faceva parte di me, così mi resi conto che, se avessi voluto lavorare per le gallerie e vivere solo di arte, sarei dovuta scendere a patti. Ma a quel punto non sarei stata più io, mi sarei snaturata. Ho preferito restare fedele a me stessa e mi sono arrangiata con altri lavori, fino a che sono diventata docente al Liceo Artistico. Non ho mai smesso di dipingere però, ho magazzini pieni di quadri. Magari li venderò, altrimenti va bene così. Tornassi indietro rifarei esattamente nello stesso modo.»
La sua tematica principale sono le donne. Lei dà profondità ai volti, alle loro storie, inserendo molto spesso elementi naturali. Questi elementi sono simboli?
«Sì. In alcuni casi sono la trasformazione, elementi di vita, rinascita, risveglio e speranza. In questi ultimi lavori ho usato molto le piante: diventare orchidea, diventare magnolia, diventare margherita. La pandemia ci ha fatto capire che abbiamo sbagliato tutto con l’ambiente e penso che, se riuscissimo a recuperare una diversa armonia con la natura, allora si potrebbe vivere in una maniera più simbiotica.»
Quali consigli dà alle giovani donne che vogliono intraprendere la strada dell’arte?
«Di fare come ho fatto io: essere fedeli a loro stesse a tutti i costi. Affermare le loro idee, non piegarsi a cosa gli altri chiedono loro di essere, non trasformarsi, anche se la strada potrà essere in salita e difficile. È l’unico modo per non essere insoddisfatti, arrivare a un certo punto della vita, guardarsi alle spalle e sentirsi appagate.»
Ringrazio Rossella Baldecchi per la sua squisita ospitalità. Abbraccio con lo sguardo le donne che ci hanno tenuto compagnia per tutto il tempo e, idealmente, tutte le altre nate dalla sensibilità di questa bravissima pittrice. Rossella Baldecchi mi ha insegnato che l’arte, per l’artista, è una fonte che deve essere alimentata da dentro; non uno scopo da raggiungere, bensì un mezzo con il quale esprimersi e sentirsi appagati. La voce e il mezzo, l’emozione da raccontare, e le sue donne di emozione ne trasmettono tantissima perché da un’emozione sono nate.
Serena Pisaneschi
Foto in alto: Rossella Baldecchi nel suo studio