Femminiletrapassatoepresente, drammaturgie per un futuro diverso

Isabella Caserta - Teatro Laboratorio
In questo viaggio di “eroine” incontriamo Isabella Caserta, direttrice artistica del Teatro Scientifico – Teatro Laboratorio di Verona. Dal secondo numero de L’Altro Femminile, donne oltre il consueto.

Isabella Caserta, eroina guerriera e creatrice, nasce figlia d’arte del compianto Ezio Maria Caserta e di Jana Balkan che nel 1967 danno vita al Teatro Laboratorio, una struttura stabile di produzione teatrale riconosciuta dal MIC (Ministero della Cultura), operante dal 1968. Questa importante realtà del panorama culturale italiano orienta la propria attività in particolare verso la drammaturgia contemporanea, il teatro civile, sociale e di comunità oltre ad avere una sezione di studio e ricerca antropologica sulla commedia dell’arte. Isabella, che vanta un curriculum di peso, assume la direzione artistica del Teatro Scientifico – Teatro Laboratorio consolidando il percorso di impegno civile con numerosi progetti. Tra questi Femminiletrapassatoepresente di cui abbiamo parlato con lei in questa intervista.

Quando nasce e cos’è il progetto Femminiletrapassatoepresente?

«Femminiletrapassatoepresente è un progetto che restituisce un altro punto di vista, quello femminile, da cui partire per allargare, ribaltare o semplicemente riconsiderare la narrazione ufficiale. Coscientemente nasce nel 2016 in occasione dello spettacolo Che cosa desiderate che mi avete fatta chiamare? Si trattava di un lavoro incentrato su alcune figure femminili nelle opere di Shakespeare, in riferimento alla tematica della violenza sulle donne. Il tema, partendo dalle parole del passato, veniva trasposto fino al presente.»

In che senso coscientemente?

«Da tanto tempo, anche prima che il progetto avesse un nome, lavoravo su alcune figure femminili che, attraverso le parole degli autori, potessero parlare al presente. Ad esempio penso a Lora, un personaggio delle Stanze pirandelliane, spettacolo del 1991 che porta ancora la regia di Ezio Maria Caserta. Sono personaggi che hanno la forza interiore di arrivare a smuovere ancora oggi le coscienze e a sensibilizzare su determinate tematiche. Pensiamo a Lo stupro di Lucrezia di Shakespeare, o al personaggio di Desdemona o a quello di Caterina nella Bisbetica domata

Come si è sviluppato Femminiletrapassatoepresente?

«Da quel primo spettacolo il progetto è cresciuto con varie drammaturgie. L’anno dopo, per esempio, c’è stato Cassandra con Elisabetta Pozzi e poi molti altri fino ad arrivare all’ultima produzione, Clitennestra, che vede la luce nel 2020.»

Ci vuole parlare di quest’ultimo personaggio?

«Con il personaggio di Clitennestra, che nella nostra rilettura parte dal testo di Marguerite Yourcenar con contaminazioni da Eschilo e Euripide, portiamo nella narrazione un punto di vista diverso, quello di lei. Ci mettiamo dalla sua parte in quanto donna abusata, mentre dalla storia è vista come una spietata assassina che con il suo amante Egisto ha ucciso il marito. Agamennone, prima di prenderla in moglie, le uccide il primo marito e il di lui figlioletto. Dal re dell’Argolide avrà poi quattro figli, tra questi Ifigenia che viene sacrificata, per propiziare il viaggio del padre verso Troia. A questo punto è naturale chiedersi se Clitennestra non sia vittima prima che carnefice. Che cosa ha subito prima di diventare un’assassina? Che cosa l’ha portata a quel punto? Come se questo non bastasse, dieci anni dopo la fine della guerra di Troia, Agamennone torna portando a casa con sé Cassandra come bottino di guerra e concubina. Perché Clitennestra uccide? Chiediamocelo. E nello stesso modo domandiamoci che cosa porta le donne, anche oggi, a compiere alcuni atti assolutamente estremi e da condannare? Qualsiasi atto di violenza compiuto su chiunque è da condannare. È anche vero però che la violenza non è mai gratuita, ci si arriva seguendo un percorso. Qual è questo iter? Questo è quello che ci chiediamo in Clitennestra e su questo interroghiamo anche gli spettatori.»

Quali altri personaggi fanno parte del progetto Femminiletrapassatoepresente e in che modo?

«Rosaura della Vedova scaltra di Goldoni. È un testo del 1748 che noi abbiamo scelto proprio perché c’è questo personaggio di donna che sceglie di scegliere. Troviamo un femminismo ante litteram in Goldoni. Rosaura, attraverso il gioco del mascheramento, quindi il gioco teatrale, sceglie di essere protagonista del suo destino e il nuovo marito. Tra i quattro amanti che le si propongono come possibili mariti, sceglie l’unico che non le ha mentito, perché lei con astuzia (femminile) riesce a smascherare il non detto. E in questo senso noi abbiamo lavorato alla regia dello spettacolo proprio sottolineando questo tipo di aspetto del testo. Poi Desdemona, che un personaggio che ho affrontato più volte, sia in Otello e altre verità che è una nostra produzione del 2008 che in Oggi è Otello che è uno spettacolo del 2018. Lei è vittima innocente del mostro dagli occhi verdi, cioè della gelosia che offusca Otello e gli ottenebra la mente. Purtroppo, la violenza sulle donne causata dal desiderio di possesso è oggetto di cronaca quasi quotidiana, la gelosia cieca ancora oggi uccide. Quello di Otello è un testo del 1604 ma ancora oggi ci sono uomini che per le stesse ragioni uccidono le donne che dicono di amare. Questa cosa ci deve far riflettere.»

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Clitennestra – Isabella Caserta

Quindi il teatro come impegno, come responsabilità sociale?

«Sì, credo che attraverso il teatro noi abbiamo la possibilità di sensibilizzare, di ribadire questi concetti. È un lavoro che va fatto continuamente perché si spera, si cerca, si crede, ci si illude che a qualcuno il messaggio arrivi: sia uomo o donna, per trovare la forza di denunciare, di non subire di ribellarsi. Perché sappiamo dalle statistiche che non sempre le donne hanno la forza per fuggire dalla violenza domestica. Perché i vicini di casa, se assistono, non chiudano la finestra, non chiudano la porta ma cerchino in qualche modo di andare incontro a quella persona, a quella donna, per riuscire a scardinare quella catena di violenza. Per costruire una cultura diversa, una cultura del rispetto che abbatta questo muro della violenza ma anche i muri della paura e dell’indifferenza. Noi cerchiamo di portare avanti dei progetti che lavorino in questo senso. Si dice che il teatro sia una tribuna aperta sul mondo e attraverso il teatro si spera di poter fare la propria parte.»

Ricordo in particolare due figure della vostra drammaturgia: Ana e Ljuda. Ci parla anche di loro?

«Ana è un personaggio creato da Vittorino Andreoli che ci ha donato due atti unici, La bambola e La puttana, che noi abbiamo messo in scena nel 2014 e ancora sono in cartellone. Il personaggio di Ana è una figura estremamente dolente, anche se il testo è comico, che prende spunto da una persona che Andreoli ha conosciuto realmente. Una donna che attraverso l’allegria, la spontaneità, la veracità (il testo è scritto in dialetto) nasconde un passato di violenza, di abusi da parte del padre. Anche qui ci interroghiamo sul suo percorso: la sua è una vita già segnata? C’è un destino al quale è difficile opporsi? Ana è una prostituta di un’estrema umanità, sensibilità. Una persona schietta che cela un dolore fatto di abusi e di privazioni a partire dall’infanzia. È un personaggio che amo molto. Invece Ljuda, personaggio di Yesterday, l’ultimo gioco, un lavoro che è andato in scena nel 2017, è la figura di una badante moldava. Questo testo è stato scritto da Jana Balkan che per farlo si è basata su testimonianze, interviste, incontri con le badanti, i pazienti, con i familiari. È un triangolo: il familiare, la signora anziana malata di Alzheimer e la badante che è il nuovo familiare. Anche Ljuda è un personaggio di estrema schiettezza, molto pragmatica, pratica, con una grandissima umanità e anche lei ha un passato di grandissima sofferenza. Per venire qui a fare la badante lascia i figli, la famiglia, soffre il distacco, la separazione dagli affetti. In questo caso abbiamo voluto dare voce attraverso il teatro al popolo dei migranti, a quanti sono costretti ad abbandonare tutto con la speranza di un lavoro e dare un futuro alla propria famiglia.»

Tra le tante donne che ha portato in scena ce n’è una che preferisce, una alla quale è più legata? E se c’è, perché?

«Ma no, diciamo che io scelgo di portare avanti un progetto, non c’è un personaggio che preferisco. A proposito, non ho citato Beatrice Cenci, che è un nostro spettacolo del 2000, con il quale diamo voce alla vittima innocente di un padre spietato, di cui lei insieme alla matrigna organizza l’omicidio. Ma perché? Dopo una vita di privazioni, di violenze, nel settembre del 1599, pochi mesi prima di Giordano Bruno, viene usata come capro espiatorio e portata sulla pubblica piazza e decapitata. Anche qui si tratta di una vittima innocente, un’eroina sofferente. Tornando alla domanda, io sposo dei progetti e all’interno di questi scelgo di lavorare su determinate figure. Quindi non ce n’è una che amo più dell’altra perché ognuna di loro fa parte di un progetto, è un tassello del tutto. Attraverso i progetti punto l’attenzione su questioni per me urgenti, quindi scelgo un personaggio per dire cose ben determinate. Per arrivare al presente. I personaggi sono un mezzo attraverso il quale cerco di parlare a chi viene ad ascoltare per dire quello che penso sia giusto portare alla luce.»

Se le dico l’altro femminile, a cosa pensa?

«Mi viene in mente un altro punto di vista: quello delle donne. È spostare l’attenzione, come per il personaggio di Clitennestra, sul punto di vista delle tante lei che formano il femminile. Per inciso, assumere un altro punto di vista è anche quanto anima il mio festival Non c’è differenza. Un altro femminile vuol dire focalizzare l’attenzione su determinati aspetti, portare alla luce qualcosa che è rimasto sommerso, anche storicamente, ma che c’è sempre stato. Fortunatamente adesso si inizia ad avere una sensibilità che qualcosa come L’Altro Femminile riesce a far emergere e a incidere nelle coscienze e quindi a costruire cittadine e cittadini di domani. Vuol dire creare una sensibilità diversa, creare un altro modo di guardare e vedere le cose.»

Cinzia Inguanta

Foto in alto: Isabella Caserta

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