Buone pratiche. I rapporti umani sono quelli che definiscono i confini e ridisegnano la società. Cambiare si può ed è a portata di mano.
Quante volte abbiamo sentito dire che le donne non possono andare d’accordo fra loro? È falso. La redazione del nostro giornale ne è un esempio lampante, e certamente non è il solo. Se vi è già venuto in mente qualche altro esempio di collaborazione femminile vincente, probabilmente vi troverete d’accordo con molti dei pensieri raccolti in questo articolo. Se invece pensate di non conoscerne nessuno, forse dovreste prendere in considerazione qualche piccolo cambiamento al vostro approccio: può fare miracoli anche sugli altri.
Recentemente ho letto che una delle basi su cui si fonda il potere del patriarcato è mantenere le donne separate e lontane fra loro, possibilmente in lotta perenne. Dividi et impera. Non è una novità inventata dalle femministe cattive e invasate, che dite?
Da quando le donne hanno avuto accesso alla vita sociale, il desiderio di essere presenti in ogni sua parte è divenuto sempre più forte. La cosa più semplice per ottenere lo stesso trattamento degli uomini in un primo momento è sembrato quello di comportarsi come loro, anche nei confronti delle altre donne. Visto che non è servito a molto, lo abbiamo fatto ancora di più, esasperando i contrasti. Ma nemmeno questo ci ha fatto raggiungere il nostro scopo; forse è ora di cambiare registro.
Ecco un esercizio facile facile: provate per qualche giorno a trattare gli uomini come se fossero donne, e le donne come se fossero uomini, vi saranno subito chiare le differenze. Facciamo alcuni esempi.
In ambito lavorativo siamo spesso portatə a chiamare gli uomini con il titolo e il cognome e invece le donne con il solo nome di battesimo, a prescindere dal loro ruolo. Iniziamo noi ad evitare questo diverso trattamento: è un passo importante per definire correttamente gli equilibri.
In ospedale, a una riunione, nelle occasioni ufficiali, non cadiamo nell’effetto Checco Zalone: chiunque sia di genere femminile non ricopre necessariamente un ruolo subordinato. Le donne che incontriamo possono essere medicə, dirigentə, capə reparto… Consideriamolo normale, non un’eccezione.
Nel nostro paese è spesso dato per scontato che la figura della madre sia la principale responsabile della cura della prole e della famiglia. Rendiamoci conto noi donne, in prima persona, che non è più così. Esistono padri virtuosi, famiglie allargate che funzionano, situazioni complesse da gestire a più mani. Se sentiamo un peso eccessivo, proviamo a condividere di più le incombenze, senza sentirci in colpa per questo. Se vediamo un bambino con la maglietta non stirata, non giudichiamo subito la madre: è un compito che può svolgere qualsiasi adulto di casa. E comunque, magari, i genitori hanno preferito spendere quel tempo giocando con il figlio.
Parallelamente condannare una donna che non desidera diventare madre è un atteggiamento ancora troppo diffuso, frutto di un retaggio culturale che ci vuole chiuse in casa ad accudire la famiglia, e i figli sono sempre stati il sistema migliore per farlo. Oggi abbiamo una possibilità di scelta, seppure con molte difficoltà. Difendiamola, per tutte.
L’aspetto fisico è sicuramente qualcosa che parla di noi, è il primo biglietto da visita quando ci presentiamo a qualcuno e questo è innegabile. Provate però a notare, ad esempio, quanti uomini calvi o sovrappeso compaiono in televisione nell’indifferenza comune, perché non è un fatto degno di nota. Allora perché se invece è una donna ad avere i capelli bianchi o qualche chilo in più deve venire additata o anche derisa perfino dai giornalisti?
I matrimoni si celebrano per la maggior parte nella bella stagione: mi è capitato di chiedermi quanto stessero soffrendo il caldo gli invitati in giacca e cravatta. Poi mi sono guardata intorno e ho visto tacchi a spillo altissimi, collant, reggiseni a balconcino, abiti strizzati in vita, strati di fondotinta, ciglia finte e pettinature che richiedono ore di lavoro. In fondo, forse, avrei preferito la cravatta…
Mi sono chiesta allora quanto di tutto questo noi donne lo facciamo davvero per piacere personale o invece perché altrimenti ci sentiremmo in difetto verso una società che ci giudica. Diventiamo più indulgenti sull’estetica, verso le altre donne e verso noi stesse. Impareremo presto ad accettare anche i nostri difetti e a vivere meglio.
Ognuno dovrebbe poter essere giudicato per il suo valore prima che per il suo aspetto, uomo o donna che sia. Quante volte abbiamo sentito dire che l’otto marzo è un giorno solo e che per cambiare le cose ne servono molti di più?
È vero. Ma è anche vero che ciascuna di noi ne ha a disposizione 365 ogni anno. Usiamoli bene, usiamoli tutti, diventiamo parte attiva di un cambiamento radicale. Forse può sembrare una piccola cosa, ma i rapporti umani sono quelli che definiscono i confini e ridisegnano la società. Cambiare si può ed è a portata di mano.
Erna Corsi
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