Con le parole di Debora Menichetti e la voce di Serena Betti alla scoperta di un’anima indocile, autentica star della poesia.
«Ovviamente tutte le storie non sono verosimili in quanto la materia, per quanto ne sappiano i poeti, è sempre sfuggita dalle mani degli dei.
La presunzione di essere folle è un modo di dichiarare guerra a coloro che vogliono la nostra vita.
La pazza della porta accanto è la testimonianza viva di un cratere d’infanzia entro cui va sepolto ingenerosamente il genio. Povera parola che sta a indicare un mostro rattratto, un’anima che pensa unicamente a se stessa e ai propri velari, un teatro di fantasmi entro cui si aggira la morte, ma, in fondo, abitare con la morte è anche vivere e toccare la morte è anche toccare il seme dell’anima.» Alda Merini.
Non potevo certo esimermi dallo scegliere uno degli scritti di Alda Merini. La mia poetessa preferita, colei che ha fatto entrare la poesia nella mia vita, ne ha spiegato il senso, il torpore che lasciava nell’anima ogni sua parola. Ha senso e non lo ha: è questa la sua poesia, una contraddizione continua, uno scrivere senza regole e senza schemi, solo il suo naturale rivelarsi attraverso la penna. Vista la vasta quantità di poesie e prose scritte, ho deciso di scegliere una poesia da Un’anima indocile. Parole e poesie, (La Vita Felice Editore, 2005). Questo libro contiene brevi racconti, poesie vecchie e nuove, è un diario/confessione con intervista finale che rivela il vero mondo poetico di Merini, complesso e controverso.
È un libro a cui sono molto legata e che mi è stato regalato da una persona a me molto cara. Se lo acquistate vi sconsiglio di leggerlo come se fosse una normale raccolta di poesie. Apritelo a caso e da lì partite con la lettura, sarà lui a dirvi come deve essere letto e non tutto di un fiato, ma con calma, anche a distanza di giorni. La poesia di Alda Merini io la leggo lentamente, ripetutamente e dolcemente, solo così riesco a sentirla.
Bella e molto interessante anche l’intervista in cui la poetessa si racconta e confessa cos’è per lei la poesia, utilizzata durante i periodi di internamento come terapia interiore. Mentre leggo le sue risposte e ascolto le sue parole, odo una melodia che non può essere recensita ma solo ascoltata:
«La prima condizione della poesia è la libertà, la gioia. La poesia è gioia, è transfert; non si può fare poesia in un luogo ristretto della dimora del proprio essere. La poesia è totale. Non si può negare che in essa vi sia una compartecipazione al dolore, ma non è un dolore psichiatrico inutile.»
Il testo che ho scelto è sensuale e stracolmo di un amore travolgente e sconvolgente come Alda era solita raccontare in poesia. Anche se in alcuni casi queste passioni erano impossibili e piene di ostacoli, erano però il motore della sua poetica accesa. «[…] non può capire lo spasimo che accompagna gli attimi che precedono la stesura di una poesia. Nessuno riuscirà mai a capirlo, nessuno riuscirà mai a fotografarlo. I miei muscoli subiscono contrazioni, convulsioni. Sono i tremendi elettroshock a cui ti sottopone la poesia.»
Congedo
Così mi hai congedata.
Non occorreva un movente
e neanche un carattere impetuoso;
è l’eterna favola
del lupo che trova
che l’agnello ha orizzonti impossibili
e che il suo belato
ammorba le orecchie,
anche se l’agnello dorme
fa rumore lo stesso
mentre i rivi delle vostre parole
litigano e fermentano
divengono acqua pulita.
È il belato che dà fastidio,
quel belato dell’uomo abbandonato
su un povero giaciglio
che vorrebbe salire
al vostro grande letto
dove voi consumate gli amori.
Debora Menichetti
Foto in alto: Alda Merini
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