Donnaridens: Dorothy Parker, Dal diario di una signora di New York

Dorothy Parke
Nasce la rubrica “Donnaridens” a cura di Silvia Roncucci. Un appuntamento mensile che prende in esame testi ironici, comici e umoristici per riflettere sorridendo.

«Il salotto era il suo rifugio. Lì il suo cuore poteva guarire dalle ingiurie del mondo, e dedicarsi tutto alla sua personale tristezza. Era una stanza sospesa, oltre le miserie della vita, tutta stoffe morbide e fiori delicati, dove non un foglio, non un libro parlavano dello strazio, né lo descrivevano […]. E lì, nel suo salotto, giungevano i giovanotti, che cercavano di aiutarla a sopportare la vita.»

Il brano, tratto dal racconto Un cuore tenero, mette in scena l’ironia intelligente di un’autrice iconica del ‘900: Dorothy Parker. Scrittrice, giornalista, poeta, critica teatrale e sceneggiatrice, la Parker è stata a lungo collaboratrice di Vogue, Vanity fair e del The New Yorker, nonché tra gli animatori della Tavola Rotonda dell’Algonquin Hotel di New York. Quello citato è uno tra più spassosi degli undici racconti della raccolta Dal diario di una signora di New York, edita da Astoria (Milano, 2015) con la traduzione di Chiara Libero, in una veste grafica graziosa e adattissima a contestualizzare l’ambiente in cui si collocano le storie della Parker. Spiritose, pungenti, spesso decisamente irriverenti come fu lei stessa, nata nel 1893 da una famiglia ebrea benestante, ma formatasi in una scuola cattolica da cui sembra che venne espulsa per aver definito l’Immacolata concezione una «combustione spontanea».

Un’infanzia difficile la sua, segnata da lutti, in particolare dalla morte della madre quando la piccola Dorothy aveva solo cinque anni, e da successive traversie economiche. La personalità sopra le righe della Parker le creò non pochi problemi, così come le sue idee progressiste (quando morì, nel 1967, lasciò i suoi diritti alla Martin Luther King Foundation) e la fede politica di sinistra. Dovette capire ben presto quanto la libertà, soprattutto quella di una donna, un’intellettuale, abbia un prezzo: la solitudine, i problemi economici, la depressione (tentò più volte il suicidio).

Dorothy Parker - Astoria
Dorothy Parker – Astoria

Le storie di  Dorothy Parker fanno emergere i (tanti) vizi e le (pochissime) virtù dell’upper class americana, un bel mondo fatto di signore benestanti ma insicure e abissalmente sole, amicizie di facciata, starlet in caduta libera, mariti assenti, dongiovanni impenitenti, passatempi frivoli, creature in posa che si nutrono di illusioni e chiudono gli occhi davanti alla realtà: il tempo che passa, l’estrema povertà che li circonda, la totale vacuità della loro esistenza. Un mondo che l’autrice sembra conoscere bene.

Si pensi a personaggi come Mrs. Lanier nel racconto menzionato, che si atteggia a creatura sensibile quando in realtà è indifferente, se non infastidita, dalle sofferenze altrui. O alle tante storie che ruotano attorno a figure femminili nutrite di vane speranze amorose (Una telefonata, Da New York a Detroit) e incapaci a comportarsi con i loro uomini come vorrebbe la società, vale a dire con pacatezza, allegria, senza mai irritarli, per meritarne l’affetto e svolgere a pieno i compiti richiesti dal patriarcato (sposarsi il prima possibile, procreare il più possibile, morire dando meno fastidio possibile).

Tra i portavoce del sistema patriarcale c’è proprio una donna, la falsa amica di Mona ne La signora della lampada, un personaggio tristemente familiare (chi di noi non ha avuto un’amica benpensante che sembra volerti aiutare ma in realtà gode delle tue traversie?). Molte protagoniste dei racconti sono preda a sensi di colpa, per la libertà sessuale che si sono concesse, per gli errori che pensano di aver compiuto. Alcuni tanto gravi da spingere il loro compagno di vita ad abbandonarle.

Dorothy Parker
Dorothy Parker

«Che cosa non andava bene? Il cibo? Lo specchio del bagno?» chiede Maida nel racconto Un rospo da ingoiare al marito che l’ha lasciata dopo undici anni di un matrimonio perfetto, come se l’errato svolgimento di un compito casalingo potesse davvero causare il naufragio di un rapporto. E tutto questo perché, scrive la Parker, «nessuno mai si premurò di spiegarle che, se avesse vissuto undici anni di felicità assoluta, sarebbe stata l’unico essere al mondo a potersi fregiare di una cosa del genere.»

Sono scene che scorrono in maniera fulminea, meteore dall’apparenza leggera che lasciano il segno, coronate dal frizzante racconto che dà il titolo alla raccolta, dove una giovane newyorkese, impegnata in notti folli tra teatri, concerti e calici di vino, si dispera perché le è successa una cosa davvero tremenda. «Spezzata un’unghia proprio alla radice» scrive nel suo diario. «In assoluto, la cosa più orribile che mi sia mai accaduta in tutta la vita.»

Davanti a eroine cariche di tanta umana imperfezione il lettorə sorride, ride di gusto, si diverte, prova simpatia, antipatia, disprezzo, tenerezza, arrivando a versare qualche lacrimuccia. E, senza accorgersene, riflette.

Silvia Roncucci

Foto in alto: Dorothy Parker

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