Svolta inclusiva o sopraffina operazione di marketing? Comunque sia in alto i calici e brindiamo alla donna con il fischietto.
Domenica scorsa un’arbitra ha fatto il suo esordio nella lega di Serie A, fatto tanto più eclatante perché Maria Sole Caputi ha diretto una partita del campionato maschile, nello specifico Sassuolo-Salernitana. Era il suo sogno, è felicissima e non le importa se il suo titolo viene declinato al maschile o al femminile – questo ripete alle stesse domande di tutti gli intervistatori. E sono molti.
Ovunque, dai social ai TG fino alla carta stampata, è un trionfo di approssimazione nei confronti della lingua italiana, tanto è il blocco mentale nei confronti di una donna col fischietto. Chi la chiama «donna arbitro», chi si nasconde dietro un democristiano «prima donna ad arbitrare», qualcuno proprio non fa nemmeno un piccolo sforzo e scrive «la signora arbitro». Pochissimi hanno il coraggio di applicare una banale regoletta grammaticale, quella basic per cui il femminile si forma sostituendo la O con una A.
Non ci riescono proprio a fare questo passaggio semplicissimo. In compenso, abbondano le frasi pleonastiche e condiscendenti su quanto Caputi abbia diretto con «vigore e sicurezza», sulle sue decisioni più difficili «subito confermate dal VAR», quel collegio di arbitri che vede la partita al rallentatore. Viene incensata e portata in un trionfo che però, a grattar via la superficie dorata, lascia un certo amaro in bocca.
Era impensabile che una notizia del genere passasse sotto traccia ma il clamore mediatico dell’evento e i toni paternalistici con cui viene commentato sono davvero troppo. Si fa largo insomma il sospetto che sia stato organizzato soltanto a fini promozionali, per far passare un messaggio di svolta inclusiva da parte di un mondo chiuso e spesso rigido in tema di parità di genere.
Lo conosco bene, quel mondo. Sono una tifosa di calcio da diverse decadi, sempre presente allo stadio e anche in trasferta. Ho conosciuto di persona i limiti a cui può arrivare il sessismo dei maschi nei confronti di una donna che sa di gioco e tattica più di loro (qualche volta, mica sempre) e posso ben immaginare le reazioni degli stessi maschi a scoprire che addirittura ne mettono una a comandare una partita. Eppure, per quanto artefatto, sarebbe sbagliato sottovalutare questo contributo del calcio alla parità di genere, seppure sponsorizzato ampiamente dai massimi vertici calcistici europei.
Vero, sembrava lo spot natalizio della pace nel mondo. Ma è anche servito a smuovere coscienze, a infastidire trogloditi e ha fatto da promemoria di quel che una donna può fare se solo non le vengono messi divieti. Signori maschi che vi chiedete «ma era proprio necessario?», ebbene sì: serviva dare un segnale forte per tutte coloro che ancora pensano che a comandare siate sempre e solo voi.
Sotto il profilo tecnico, la performance di gara dell’arbitra non è stata impeccabile. Proprio perché conosco il gioco e i suoi meccanismi, mi colpisce come il rigore concesso da Caputi in maniera affrettata sia stato altrettanto tempestivamente confermato nella sua legittimità da tutti ma proprio tutti gli addetti ai lavori, con una condiscendenza che puzzava di pietismo. Mentre loro ripetevano «Caputi assegna un rigore incontestabile» io avevo negli occhi il contatto in area, quasi inesistente, e mi ha fatta arrabbiare questo atteggiamento paternalistico, il volerla salvare a tutti i costi, anche quando era lontana dall’azione o erano evidenti le diversità atletiche con i calciatori. Sapeva tanto di “brava, brava, però adesso torna al tuo posto”. Un modo per archiviare questo simpatico siparietto e tornare alla normalità.
L’arbitra Caputi ha diretto la gara con fermezza, è stata autorevole in campo e non ha mostrato difetti evidenti sotto il profilo tecnico. I toni entusiasti da Arbitra dell’Anno sono eccessivi e figli di quella brutta abitudine italiana di voler apparire migliori invece di fare il minimo sforzo per diventarlo. Non è un’arbitra perfetta, ma può migliorare, a differenza di molti altri.
Se guardo indietro ai tanti anni sugli spalti, di perfezione in casacca nera (poi fluo) non ne ho vista molta, anzi. Basti pensare al faccione dell’arbitro Wurz mentre concede un rigore alla Juventus contro il mio Verona, in una partita di Coppa Campioni a porte chiuse, che da allora viene definita trasversalmente «della vergogna.» A fine gara, di lui si sono scritte mille cose, pochi i complimenti in verità.
Ma ecco cosa non si è scritto: nessuno l’ha «apprezzato per aver arbitrato con vigore» (cioè come un vero uomo), né che ha «sentito l’emozione» del debutto (queste donne, si sa, sono così emotive). Per l’arbitra Caputi si è letto addirittura che i giocatori l’hanno rispettata. Ebbene sì, in Italia, nel ventunesimo secolo inoltrato, fa notizia che ventidue uomini rispettino una donna. E pensare che mostrava pure le gambe, signoramia!
Foto in alto: Maria Sole Caputi, Getty Images
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