Il galeone dei pirati è un racconto di Fausta Rosa che scrive per raccontarsi la vita che altrimenti le sfuggirebbe nei dettagli.
Pillole di femminile, la rubrica per riflettere su alcuni piccoli grandi temi legati alla vita di tutti i giorni.
Il profumo di biancheria lavata a mano si diffonde nell’aria e si insinua nelle mie narici, appena giro l’angolo di casa. È sicuramente nonna che stende il bucato nella sua grande terrazza. Salgo gli scalini a due a due, quella rampa che mi separa da lei, afferrando la ringhiera arrugginita che la si potrebbe scambiare per pelle di leopardo. Chissà se oggi mi cucina il riso al pomodoro, quello con i chiodi di garofano conficcati nella cipolla. Ma forse ho più voglia di riso e patate. È buonissimo anche questo e il segreto è sempre il chiodo.
Certo, nonna è stata cuoca in diversi ristoranti. Non era mai a casa. Invece ora è sempre lì. Non se ne esce nemmeno quando desidera il tramezzino asparagi e uova del bar Bianchi, di là della strada. Le basta suonare il citofono intercomunicante con il nostro appartamento e io salgo in un batter d’occhio. Mi aspetta seduta al tavolo rotondo del suo salottino, il portamonete in cuoio sdrucito in mano. «Va’ a tórme el soito tramezìn e tóeténe uno anca par tì, quel che té vói.» Me lo ripete ogni volta, ma tanto lo sa che torno sempre con due di asparagi e uova.
Mi precipito giù dalle scale, esco dal portone, mi affaccio sulla Contrà Lodi – destra, sinistra e ancora destra – non ci sono auto, Mi raccomando echeggia la voce di mia nonna nella mia testa e con attenzione attraverso di corsa la strada, arrivo all’angolo con Contrà Porta Nova ed entro nel bar. «Due tramezzini asparagi e uova.» La signora incarta i due paninetti imbottiti. «Salutami la Lena» mi rincorre con la voce, ma sono già fuori.
Ora che ci penso, non ho più mangiato tramezzini così buoni. Non ho più ordinato un asparagi e uova. E adesso il Bianchi non è più un bar, è stato acquistato da indiani e ci hanno fatto un ristorante. Non so se nonna ne sarebbe contenta. E io dovrei fare molta, molta più strada per trovare dei tramezzini come piacevano a lei.
Ha già steso un lungo lenzuolo bianchissimo. Osservo l’ombra di mia nonna impressa sul telo, fluttua in un andirivieni sinuoso tra confini certi e nitidi e contorni ondeggianti per poi scomparire o forse sciogliersi al sole. Che si tratti di un nano? No, ora è un gigante. L’ombra diventa snella e slanciata e danza col vento, ma come è possibile?!
Sei proprio tu, nonna?
Scosto l’angolo del lenzuolo in basso a destra e l’abbraccio, per poco non la faccio cadere. È contenta di vedermi e dice che dentro ci sono le galatine, le mie preferite.
In un baleno varco l’entrata e raggiungo il comò del telefono anni ‘60. Nella ciotola ci sono anche le Rossana, che a me non piacciono, ma nonna ne va matta e quindi io mangio la galatina mentre lei si scarta la Rossana. «Iéri gó sentìo pianzer tó sorea…»
Abitiamo in una vecchia casa a due piani vicino al centro storico, con un grande cortile e perfino un orto. Al piano di sopra vive nonna, sotto ci abito io. Con i miei genitori. E con la mia sorellina, quella che gioca sempre con le Barbie, quella che vuole il Ken, ma la mamma non glielo compra. Allora glielo do io il Ken, basta tagliare capelli e tette alla sua Barbie preferita, e vedi come si trasforma in un Ken. Piange? Ma come! Le ho dato quello che voleva. Perché piange a quel modo?
Anche a me hanno tranciato le tette. Per l’esattezza una sola, la sinistra. Non ho sentito nulla finché mi aprivano il petto. Forse anche Barbie non ha provato nulla quando gliel’ho tagliato.
Il dolore arriva dopo.
Anche le lacrime di mia sorella sono arrivate dopo.
E nonna le ha sentite.
E nel buio della mia stanza di ospedale, la prima del corridoio della chirurgia plastica, quella con Alexandra che ha tre bambini e Gaetana che russa come un uomo, scendono anche a me le lacrime. Lacerata, vorrei gridare questa ferita che si è aperta, di cui non ne comprendo la ragione, ma soffoco i singhiozzi e con le mani tappo la mia bocca ingoiando il Perché feroce e amaro che irrompe violentemente in un’intima eco assordante. Perché, Perché, Perché.
E poi, più nulla.
Silenzio.
Tutto tace. Perfino la Gaetana.
Chi mi sente?
«Nonna, ma perché non hai più una gamba?» Credevo mi raccontasse la storia dei pirati. Forse una volta era stata in una di quelle navi, magari era la donna del capitano dei bucanieri più agguerriti del Mar Rosso, il più cattivo dei cattivi, tanto io, il nonno, non l’ho mai conosciuto, e un giorno la bomba di un cannone della flotta reale ha tranciato la sua gamba affondando il galeone e metà dell’equipaggio.
«Un bruto mae sea gà portà via.»
Lo sguardo di mia nonna si perde nel vuoto, sento solo il succhiare della sua caramella, io la mia l’ho già mangiata.
Fausta Rosa: «Da qualche anno sono fisioterapista. Parlo molto durante il giorno, a volte anche di notte e le mie mani approcciano il corpo dell’altro senza che io ci metta troppa testa. Amo: i miei gatti; viaggiare in bicicletta in solitaria, ma anche in compagnia, senza troppe pianificazioni; la montagna e la vista che una cima offre; quindi camminare a lungo, quasi allo sfinimento, dormire in un rifugio, meglio se bivacco, con la mia ragazza; i tramonti; il mare in tempesta, ma anche quando è calmo, il suo andirivieni eterno; leggere romanzi e racconti e perdermi nelle mie fantasie. Scrivo soprattutto per me stessa, per dare un volto alle mie emozioni, per raccontarmi la vita che altrimenti mi sfuggirebbe nei dettagli. Scrivo perché è forte il desiderio di condivisione, di questa vita così immensa e preziosa. Scrivo perché attraverso le parole io possa costruire un ponte in grado di sfiorare per un attimo il cuore di chi mi legge e anche il mio.»
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Il galeone dei pirati racconto di Fausta Rosa
Queste sono le cose che amo leggere perché mentre lo faccio mi ci butto dentro,e lo faccio mentre respiro lentamente per poter assaporare ogni momento,lo faccio cercando di vivere alcune emozioni che forse riportano a te anche alcune cose che riguardano anche la nostra vita.In questa semplicità nello scrivere che arriva dritta al cuore.La fortuna di avere conosciuto una persona importante per farci essere poi la donna di oggi per poter attingere nel ricordare quella forza che ci viene a mancare quando siamo noi ad attraversare il mare in tempesta.Che tu possa fare tantissime passeggiate in montagna per portare con te in ogni viaggio che fai chi non c’è più in vita ma portarla nell’anima.Un abbraccio Giò
È vero, certi racconti hanno il potere della nostalgia e della tenerezza. delle cose semplici, di un passato fatto di immensi affetti.
Fauuuuuuuuuuù sei una splendida persona e sono felice che le nostre vite si sono incontrate e nell’intreccio del sentimento tra i più nobili, l’amicizia, possiamo gioire della nostra essenza