Parentesi. Chi siamo? Di cosa siamo compostə? E quanto è difficile riconoscersi e amarsi? L’identità è un’espressione matematica.
Pillole di femminile, la rubrica per riflettere su alcuni piccoli grandi temi legati alla vita di tutti i giorni.
E poi passo tutto il mio tempo a guardarmi. Mi vesto con parsimonia, gustando le carezze del pizzo sulla pelle. Ogni indumento un pezzo della metamorfosi: la seta del collant, l’altezza dei tacchi, la maschera del trucco. Ma quella maschera è il mio vero volto, e divengo quello che gli altri non sanno ma che è la mia parte più autentica.
Lo specchio mi rimanda la figura intera in autoreggenti e giarrettiera, un filo esile di perle scende lungo l’intreccio del corsetto nero; la vestaglia leggera, l’equilibrio sicuro sette centimetri più in alto del solito pavimento. Forse è questa l’estasi, l’onnipotenza! Mi sento bella, sono bella! Ho voglia di ballare ma non riesco a distogliermi da me. Fisso l’eyeliner perfetto, il mascara scuro, il rossetto porpora. Fisso gli orecchini a clip, il mogano dei capelli che scende soffice sulle spalle e che fra poco dovrò rinchiudere di nuovo nello spazio angusto della scatola e dell’attesa. Quello che provo è pienezza, è libertà. Ammicco, ancheggio, accenno qualche smorfia. Poi tolgo la vestaglia e indosso l’abito, la sensazione è quella di un abbraccio. Mando via pieghe inesistenti dai fianchi, mi volto di schiena cercando di vedermi da ogni lato. Nella mia personale matematica, il rimpianto di non poter vivere sempre così allo scoperto è rinchiuso dentro due parentesi tonde, che sono le meno importanti ma anche le più immediate. Le quadre accolgono ogni tristezza e le graffe contengono tutto quanto il dolore.
Ogni tanto ripenso ai miei primi cambi d’abito, a quell’impulso che giudicavo malato ma al quale non sapevo resistere. I momenti fugaci e ansiosi in cui rubavo i vestiti di mia sorella, il misto di angoscia e splendore nell’indossarli, con in sottofondo sempre il terrore di essere scoperta. Ci ho messo anni a comprendere chi sono, ad accettarmi. Anni di tormenti, di frustrazione, di strada smarrita. È per questo che ogni volta che mi cambio gli abiti è come un ripresentarsi da capo, molto simile a una rinascita, al primo respiro che dà la vita.
Appoggio ancora lo sguardo sul mio riflesso, soddisfatta e pienamente consapevole. Racchiudo le difficoltà nell’espressione che ho dentro e che è l’equivalenza di me. In tutte le parentesi ci sono io, quella intera divisa in frazioni e segni algebrici. Tutto insieme forma la mia identità, l’uomo che in pochi conoscono e che ancora in meno meritano di amare. Io, invece, ho imparato ad amarmi per la persona che sono anche se, in parte, ancora costretta a nascondermi. Ma va bene così, perché quello che vedo adesso mi dà gioia, è ossigeno puro.
Metto in borsa il rossetto e indosso il soprabito. I tacchi fanno rumore, il profumo lascia una scia. Sono io che semino tracce, che riapro una parentesi. Ma il contenuto stavolta non è rimpianto, è verità.
Serena Pisaneschi
Foto in altro: di Kellepics su Pixabay e Cottonbro Sutidio su Pexel
© RIPRODUZIONE RISERVATA