Anzi di più! Possono infatti diventare un’ottima scusa per concedersi una pausa e guardarsi indietro, alla ricerca di qualcosa (o qualcuno) che abbiamo perduto.
Stefania Bertola è in assoluto l’autrice che più sa sospendere la mia diffidente incredulità: le sue protagoniste strampalate vivono situazioni al limite del possibile, ma noi che leggiamo crediamo ciecamente a tutte le azioni che compiono, a tutto quel che accade, come un bambino innocente crede all’esistenza di Babbo Natale o della Fatina dei dentini. Questo vale anche per il suo ultimo romanzo, Le cure della casa (Einaudi, 2021), dove si racconta la storia di Lilli.
Quarantotto anni, torinese, Lilli ha un marito esperto di verde pubblico che lavora in Comune, una figlia che studia lingue orientali a Venezia e… una casa. Quando rimane senza impiego, dopo anni di lavoro come responsabile del personale di un’azienda tessile, piuttosto che disperarsi o darsi da fare a cercarne subito un altro, decide di compiere un’azione rivoluzionaria: non fare niente. O meglio, dedicarsi, con calma, senza lo stress derivante dall’accumulo degli impegni quotidiani, alla cura della casa, anche grazie a una piccola eredità lasciata dalla zia che la fa stare tranquilla. La decisione lascia sbigottiti familiari e amici, anche se ben presto Lilli fa capire a tutti che nei pressi del focolare è intenzionata a starci ben poco.
Recuperare il lato casalingo lasciato per anni in sordina (anche a causa della madre, una femminista della prima ora che detesta le attività ancillari), le fornisce dapprima l’occasione per prendersi del tempo per sé e poi per ripensare al passato e a qualcuno che è stato molto importante per la Lilli bambina. Inizia così una caccia disperata all’uomo – o meglio, alla donna – che coinvolge altre due figure complementari (la triade di personagge femminili la troviamo anche in altri romanzi della Bertola, ad esempio nel delizioso Aspirapolvere di stelle): la volubile Cecilia, esperta di estetica che passa da un fidanzato all’altro e odia i bambini, e la determinata Alice che, invece, ha avuto ben quattro marmocchi da quattro padri diversi.
Il trio funziona alla perfezione, soprattutto quando intraprende un viaggio di gruppo. «Cecilia vorrebbe evitare l’approccio Charlie’s Angels,» scrive la Bertola, «cioè che entriamo tutte e tre sincronizzando il passo, appoggiamo i gomiti al banco del concierge e gli chiediamo informazioni agitando i capelli. Alice vuole evitare l’approccio Signora in Giallo: entra una di noi dopo essersi messa un rossetto geranio, e caracollando declama: “Scusi, ricorda per caso una ragazza che ha passato una settimana qui sedici anni fa?” Io invece vorrei evitare l’approccio proposto da loro: entriamo in due e facciamo balenare un finto distintivo e un finto tesserino spacciandoci per commissarie.»
La recherche de la femme si alterna a consigli casalinghi che Lilli lascia alla figlia (la quale, a sua volta, non tarderà a sconvolgere la famiglia manifestando una nuova, personale, aspirazione da massaia) e che, raccontati con il brio di Stefania Bertola, riescono a rendere divertenti persino le pattine, gli strofinacci, le dispense, i fiocchi di patate, la lavapiatti e gli aspirabriciole, oggetti che a volte diventano espressione degli affetti familiari o persino di una memoria collettiva. Non mancano scoperte strepitose per chi legge: grazie a Lilli ho imparato cos’è il Sugru e la “galera” (se non lo sapete però non ve lo dico, leggete il libro e scopritelo da sole, pelandrone!). Un valore aggiunto è il finale del romanzo (tanto che mi ha sorpreso leggere sul web critiche proprio alla chiusa): geniale e totalmente imprevedibile. Anche se perfettamente logico.
Silvia Roncucci
Foto in alto: Stefania Bertola
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