Ci sono solo io, nuovo racconto inedito di Velma J. Starling. Colonna sonora consigliata: Say My Name, dei Within Temptation.
Pillole di femminile, la rubrica per riflettere su alcuni piccoli grandi temi legati alla vita di tutti i giorni.
È una sera di novembre, aspetto Agnese fuori dalla palestra. C’è un parco davanti, con giochi e panchine, ma preferisco passeggiare lungo il marciapiede. Tra l’altro, ho zero voglia di cucinare e da lì vedo l’ingresso della piadineria: il tempo di recuperare la pallavolista in erba e mi ci infilo di corsa.
Il volto di una donna mi ostruisce la visuale. Faccio un passo indietro, non dico che mi abbia impaurita ma di sicuro è sbucata in modo un po’ brusco.
«Scusi» chiede con affanno, «ha visto un uomo anziano passare di qua, un signore con un maglioncino grigio?»
«No, mi spiace, sono qui da un po’ ma non ho davvero fatto caso alle persone di passaggio.»
«Ah, va bene, non fa nulla.» Scruta le panchine, sbircia oltre un’altalena. «È mio padre, sa, non c’è più molto con la testa.»
Annuisco. «Ho ancora qualche minuto prima di ritirare mia figlia, vuole che l’aiuti a cercarlo?»
«Sarebbe così gentile? Se potesse fare il giro intorno alla palestra, io intanto controllerei la traversa dopo. Se lo trova, gli dica che lo riporta da Annarita.»
«Certo, nessun problema. Nel caso, sarò qui entro cinque-dieci minuti.»
Ci separiamo, prendo la via che costeggia la palestra. Chissà se il vecchietto va in giro tranquillo o se ha capito di essersi perso. Magari ha freddo, maglioncino grigio mi sa di abbigliamento leggero.
Ripenso alle mie parenti anziane che hanno sofferto di Alzheimer o di demenza senile. Nonna paterna, nonna materna, prozia paterna, mamma, zia, due cugine di mamma… praticamente tutte le donne della mia famiglia, di un ramo e dell’altro. Il genere di sfiga che ci vede benissimo: se c’è una cosa che non mi manca, è il fattore familiarità.
Mentre giro intorno alla scuola – lì c’è un tipo anziano ma ha il cappotto, non può essere lui – mi tornano in mente anche gli anni passati ad accudire la mamma, con l’aiuto di Santa Badante Rumena. E le telefonate con mia cugina che intanto accudiva la sua, di mamma, poi i ricordi lontani di quando le mamme avevano badato alle nonne. Le urla di quella che aveva incubi e crisi di rabbia, gli sguardi lugubri di quella che appassiva nel silenzio.
Svolto un altro angolo, ho quasi finito il giro ma del vecchietto nessuna traccia. Sento del vociare, le bambine stanno uscendo. Accelero il passo, arrivo davanti al portone, ritiro Agnese. Guardo ancora lungo la strada: non si sa mai, un colpo di fortuna, magari quell’ombra là vicino al passo carrabile… no, è un ragazzo. Niente, mi tocca tornare dalla signora e dirle che non ho…
Ah, sono lì sulla panchina, lo ha trovato! Gli circonda le spalle con un braccio, la schiena di lui ha dei piccoli sussulti.
Agnese mi tira per un braccio. «Mamma, perché quel signore piange?»
«Non so, tesoro, gli sarà capitato un dispiacere.»
Lo riconosco quel pianto sommesso, quei singhiozzi trattenuti. Faceva così anche mamma, quando usciva per qualche minuto dal torpore e ricordava, di colpo ricordava tante cose ma soprattutto ricordava di avere dimenticato, cristiddio, e capiva che avrebbe ancora dimenticato, e ripeteva il mio nome tante tante tante volte come per ficcarselo in testa, però piangendo perché sapeva che non avrebbe funzionato, che avrebbe dimenticato tutto di nuovo e sempre più a lungo. Poi tornava nel suo mondo oscuro, dove non potevo raggiungerla.
Rivolgo un mezzo sorriso alla signora, che annuisce.
«Ci sono solo io a badarlo, a volte esce senza che me ne accorga» sussurra, la voce intrisa di colpa.
«Lei fa più che abbastanza» mento. Perché in realtà non basta nemmeno un po’, non basta mai. Dove lo metti il papà suonato, quando devi fare la spesa? E se lavori fuori casa? E se non ce li hai, i soldi per Santa Badante Rumena? E se una di quelle volte che ti distrai, o ti appisoli cinque minuti sul divano perché sei distrutta, lui esce e va sotto una macchina?
Ci sono solo io a badarlo, ecco come funziona. Ci sono solo io a badarlo, perché non hai altri familiari sottomano oppure sono presi da altre incombenze, e siccome sei una donna sei più adatta a prenderti cura degli altri, come no. Stai fresca se aspetti l’aiuto dei servizi sociali, ne hanno a centinaia di questi casi e non sanno dove sbattere la testa e dove chiedere altri fondi. Ci sono solo io a badarlo, sei disperata e vorresti solo piangere insieme a lui, altro che consolarlo.
Si alzano dalla panchina e si incamminano. La signora mi fa un cenno di saluto, io ricambio. Insieme ad Agnese mi dirigo verso la piadineria.
«Stasera cassoni, mamma?» sorride lei.
«Oh yes.»
Sorrido anche io, e intanto prego con tutta me stessa che Dio me la risparmi, quella fine indegna, quegli sguardi acquosi, quel mondo oscuro che ti opprime. Che risparmi ad Agnese lo strazio di dovermi accudire e lo spavento di quando mi metterei in pericolo.
La pena di dover dire Ci sono solo io.
Foto in alto: di Kellepics e Sabine van Erp
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