La storia di un’eterna innamorata che Nothomb definisce «una delizia, irresistibile», un fenomeno letterario che non mi ha convinto.
Quando ho letto sul web la trama di Mio marito, romanzo d’esordio della scrittrice francese di origini italiane Maud Ventura, ho cercato subito di procurarmelo. Sembrava avere tutte le carte in regola per piacermi: è una storia di relazioni familiari e di ossessioni, condita da un umorismo francese che non poteva non condurmi a lei, l’impareggiabile Amélie Nothomb (che è belga, lo so bene); la stessa Nothomb lo avrebbe definito «una delizia, irresistibile», come si legge sulla copertina della versione italiana (Sem, 2022), rendendolo ancor più appetibile.
Lo stile del romanzo è scorrevole e la forma curata, tuttavia, forse perché le mie aspettative erano troppo elevate o perché l’ho letto subito dopo aver recensito autrici insuperabili per senso dello humour (come Caitlin Doughty), molti aspetti della storia e soprattutto della protagonista non quadrano.
La vicenda è narrata in prima persona da una quarantenne madre di due figli e moglie, ancora innamoratissima, di un uomo affascinante, benestante e stucchevole nella sua perfezione che parla come nessun altro sulla terra farebbe («Sei sublime, tesorino»). Insegnante di Inglese e traduttrice, la donna è ossessionata dal consorte e il suo trasporto, lo si capisce da subito, ha del malsano, il che dovrebbe essere foriero di momenti buffi o addirittura esilaranti: diversi passaggi risultano gradevoli e alcune frasi colgono nel segno della comicità («tutti sanno che le serate mondane sono raramente degli incontri pacifici», «sono sicura che le lacrime mi stanno bene. Devono farmi sembrare un’eroina di Racine»), tutto sommato, però, le parti che suonano inutili o addirittura noiose per quanto mi riguarda hanno il sopravvento.
I momenti di nervosismo della protagonista, i suoi pianti, gli sbalzi d’umore, le pagine di sesso extraconiugale vissuto come uno sfogo tristanzuolo mi spingevano, durante la lettura, a chiedermi se per caso non si trattasse solo delle fissazioni di una donna agiata e annoiata che vuole complicarsi la vita per darle un po’ di pepe. O sul punto di entrare in menopausa, di scoprire di essere di nuovo incinta, di impazzire (sarebbe stato più interessante). O ancora se, al di là dell’incredibile bellezza sbandierata ripetutamente e della sua vita perfetta, la donna non fosse già del tutto fuori di testa. Tuttavia sembra che il climax non porti da nessuna parte e troppo spesso si ha l’impressione che Maud Ventura, più che della personaggia, parli di se stessa, e che, mettendoli insieme, i pezzi di questa donna non si incastrino a dovere, che la sua «follia» manchi della logica che una figura letteraria richiederebbe, insomma.
Ho faticato a identificarmi con la protagonista, a sentirmi coinvolta. Nonostante faccia intendere che alla base del rapporto malato con il marito c’è un’insicurezza di fondo della donna, l’autrice non spiega con esattezza da dove provenga, a parte qualche rapida allusione alle sue origini modeste. Ho trovato il finale davvero troppo facilone, piuttosto che una chiusura a sorpresa o «col botto», come qualcuno ha scritto. Peccato, perché se l’idea della giustizia riparatoria e del fatto che a ogni delitto amoroso corrisponda una pena equivalente fosse stata sviluppata con un giusto climax e una logica conclusione, sarebbe stato un romanzo più efficace. Come esordio, Mio marito rimane un testo interessante, soprattutto considerata la giovane età dell’autrice, e invito a leggerlo per avere altre opinioni in merito, ma come fenomeno mi è apparso molto sopravvalutato.
Una volta tanto mi trovo in disaccordo con Amélie. Pazienza.
Silvia Roncucci
Foto in alto: Maud Ventura
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