Nina Simone,  il talento sconfinato di un genio irrisolto

Nina Simone - Getty Images
Solo lei, la “High Priestess of Soul”, nessun’altra artista poteva inaugurare questa rubrica dedicata al ruolo del femminile nella musica moderna.

Nessun’altra artista poteva inaugurare questa rubrica dedicata al ruolo del femminile nella musica moderna, se non Nina Simone. Ogni volta che si raccontano i miti del rock, del pop, del blues il panorama nell’immaginario collettivo è maschile: Mick Jagger, Prince, Paul McCartney, Jim Morrison… difficilmente sentirete accostare a questi nomi quello di una donna. La nostra eroina, invece, non solo è tranquillamente paragonabile ai più grandi big in termini di talento, ma addirittura li surclassa se parliamo di esecuzione tecnica ed espressività.

Nina Simone nasce Eunice Kathleen Waymon, sesta di otto fratelli con la pelle di un ebano lucente, nel North Carolina nel 1939 da una madre ministro metodista che si occupa solo della sua comunità di fedeli, dimenticando il ruolo di genitore. In casa per fortuna c’è un pianoforte che Eunice suona a partire dai tre anni e si palesa il suo incredibile talento. È bambina quando si esibisce nella chiesa della madre e la nota Mrs. Massinovitch, un’insegnante di piano che la prende sotto la sua ala ed è talmente colpita dalla sua bravura e dalla sua perfezione di allieva da creare un fondo per garantirle l’iscrizione al conservatorio.

La ragazza cresce con il grande sogno di essere la prima pianista nera a entrare al Curtis Institute di Philadelphia. Dedica a questo progetto tutte le sue speranze e la sua dedizione ferrea, ma viene rifiutata. È il 1950 e Eunice capisce che ci sono ostacoli che non si possono superare solo con l’abnegazione. La terribile delusione la spinge a fuggire ad Atlantic City dove trova lavoro in un locale notturno, ma il proprietario pretende che lei canti, oltre a suonare il pianoforte. Lei accetta ed è così che nasce Nina Simone, il suo personaggio, la star, un alter ego magnetico che notte dopo notte conquista un pubblico estasiato.

Nina è il nomignolo affibbiatole da un fidanzato di passaggio e Simone lo sceglie come omaggio a Simone Signoret; il nome d’arte è d’obbligo perché Eunice sa che la madre disapproverebbe questo lavoro in un ambiente di depravati e dai costumi “demoniaci”. Il successo è travolgente: la sua musica è un mix di soul, blues, jazz e la sua voce ammaliante e profonda arriva dritta all’anima. Il suo estro di performer è unico: la potenza della sua fisicità e la profonda connessione che intreccia con il suo pubblico sono impareggiabili. «Non mi interessa che la gente si diverta ai miei concerti –  diceva  –  voglio che ne escano a pezzi».

Nel 1960 incontra Andrew Strout, ai tempi sergente di polizia, che sposerà rendendo evidente la sua incapacità di intrecciare relazioni amorose sane. Nemmeno la nascita dell’unica figlia Lisa servirà a cementificare un rapporto in cui il marito manager è interessato solo a sfruttare il più possibile la gallina dalle uova d’oro, mentre Nina si avvicina sempre più ai movimenti per i diritti civili degli afroamericani, replicando la stessa anaffettività della madre quando ormai madre lo è diventata a sua volta.

Dedica la sua arte e la sua vita alla contestazione, a Martin Luther King, alle Black Panthers. «Cantare per la mia gente è diventato il mio scopo. Non suonavo più jazz o blues o classica: suonavo i diritti civili». Le sue posizioni politiche si fanno sempre più radicali, il mainstream musicale la allontana e molte radio si rifiutano di trasmette il suo brano Mississipi Goddam, che nasce di getto nel 1963 dopo aver saputo dell’attentato incendiario in una chiesa battista dell’Alabama che costa la vita a quattro bambine. Nina Simone continuerà a suonare questa canzone manifesto in tutti i suoi concerti fino alla fine dei suoi giorni.

Il matrimonio naufraga, nel 1968 Martin Luther King viene assassinato e lei abbandona un’America distrutta dall’odio per trasferirsi in Liberia, che idolatra come patria dei suoi avi. È una scelta profondamente sbagliata: non sente nessuna connessione particolare con quella terra ed esce bruscamente dal giro della musica che conta. Soffre di forti depressioni, inizia relazioni burrascose con uomini sbagliati, la figlia scappa in America, sfinita dalle sue altalene emotive, e torna dal padre. La situazione economica è disastrosa e nel 1976 Nina è costretta a lasciare l’Africa per la Svizzera, dove si esibisce al Jazz Festival di Montreaux: il pubblico l’accoglie calorosamente ma i tempi dei trionfi di Atlantic City sono lontani.

Non è più lucida e il suo nuovo manager, assunto dopo il divorzio dal marito, la deruba, la picchia e la abbandona esanime in un albergo di Londra. Trova comunque le forze per affrontare una lunga tournée in Europa: Inghilterra, Olanda e infine in Francia, che diventa il suo paese d’adozione. Muore il 21 aprile del 2003 a settant’anni, nella sua casa A Carry-sur-le-Rouet, vicino a Marsiglia, sola e dimenticata da tutti. Un epilogo impietoso per la più grande performer piano-voce mai esistita. Viene inserita tra i cento musicisti più importanti di tutti i tempi e anche il Curtis Institute di Philadelphia, dopo averla scartata per motivi razziali, le intitola una laurea ad honorem, un gesto che non cancella l’indelebile macchia del 1950.

Inside Nina

Prima della lettura di What happened, Miss Simone, la biografia del giornalista e critico musicale Alan Light pubblicata in italiano da Il Saggiatore, il mio consiglio è di tuffarvi nella musica della “High Priestess of Soul” ascoltando preferibilmente brani di performance live dove la sua maestria di interprete e pianista emergerà in tutta la sua potenza devastante. David Bowie la amava talmente tanto da voler registrare una sua versione di Wild Is The Wind, un omaggio devoto a quella che lui riteneva essere la più grande artista di tutti i tempi.

Music

Sinnerman

Ain’t got no, I got life

I wish I knew how it would feel to be free

Elena Castagnoli

Foto in alto: Nina Simone, Getty Images

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