L’essenza del dubbio più spaventoso per una madre, condensata nel racconto di Ashley Audrain che costringe a guardarsi dentro, in profondità.
Che cosa c’è di più bello e rasserenante che guardare un bimbo che dorme? Le piccole palpebre rilassate, il respiro sereno, le braccia aperte, fiduciose verso il mondo. È pensiero comune che l’infanzia sia un momento di grazia, in cui ogni essere umano è puro, completamente buono e in pace con tutto il creato. Questo sentimento fa parte del meccanismo che consente la sopravvivenza della specie, in quanto la percezione degli adulti li spinge a prendersi cura dei piccoli indifesi. È altrettanto radicato il pensiero che le madri, in particolare le puerpere, provino un trasporto innato e una dedizione completa verso il piccolo essere umano che hanno generato. Questo permette invece la sopravvivenza dello status quo sociale.
Entrambe le convinzioni sono false, o per lo meno è falso che siano applicabili a tutti i casi. È da questa idea che prende vita il romanzo La spinta (Rizzoli, 2021) di Ashley Audrain.
Concedere a tutti la scelta di diventare genitori o meno, liberi dai condizionamenti sociali, è un tema molto attuale, portato alla ribalta anche nell’ultima edizione del Festival di Sanremo. Ne abbiamo parlato anche noi nel quarto numero della nostra rivista, dedicato alla genitorialità, uscito lo scorso gennaio.
Ashley Audrain ne fa una questione personale. La protagonista del suo romanzo narra in prima persona la propria storia fatta di aspettative disilluse e ricordi difficili da affrontare, alternando il presente alla storia delle donne della sua famiglia. Scopriamo così come non sia necessariamente il passato a condizionare il nostro vissuto. Non di meno, a volte sono i casi della vita che ci trascinano in situazioni che non avremmo mai immaginato possibili e che ci colgono impreparati ad affrontarli.
«Non scorderò mai il giorno in cui ho capito quanto era importante il mio corpo per la nostra famiglia. Non il mio cervello, non le mie ambizioni di scrittrice, non la persona plasmata da trentacinque anni di vita. Solo il mio corpo.»
Chi ha più di un figlio sa benissimo come possa essere diversa l’esperienza con ognuno di loro; sono piccole persone che hanno già delle predisposizioni caratteriali che verranno mitigate o accentuate dagli eventi. Che cosa succede però se il rapporto con la madre si presenta difficile già dai primi momenti? Come è possibile gestire un figlio di cui si intravede un lato oscuro e insondabile? Come superare i propri dubbi e separarli dalle ansie materne?
Questi sono i quesiti principali che la protagonista si trova ad affrontare, sommati alla difficoltà di essere madre in una società che ci chiede la perfezione. Il romanzo di Ashley Audrain assume le tonalità del giallo e a tratti del noir, costringendoci ad affrontare il dato di fatto che non siamo tutti buoni. Nemmeno da piccoli.
«Le madri non dovrebbero fare figli che soffrono. Non dovrebbero fare figli che muoiono. E non dovremmo fare figli cattivi.»
Erna Corsi
Foto in alto: Polesie Toys
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