Emma Saponaro e la storia del riscatto di Rebecca, moglie e massaia ribelle, protagonista tragicomica di Se devo essere una mela.
«Non ditemi che non avete mai tirato le somme della vostra vita. Non so, al vostro compleanno oppure a capodanno o appena vi hanno assicurato le cinture dell’iSpeed a Mirabilandia e no, ormai non c’è più niente da fare e non vi resta che volare su e giù, urlando, per quei quindici minuti di velocità supersonica e tachicardia a mille. Non negate, non vi credo.»
Neanche io crederei a gente del genere, cara Rebecca. Ogni essere umano ha vissuto una situazione di questo tipo. Ma in poche persone, davanti alla cruda consapevolezza che la propria vita non assomiglia neanche un po’ a quella che sognavano, hanno avuto il fegato di prenderla per le corna e condurla verso un’altra direzione. Una di queste, per fortuna – sua e di noi, che ne leggiamo la parabola esemplare – è Rebecca. Casalinga e moglie ribelle, Rebecca è la protagonista del romanzo Se devo essere una mela di Emma Saponaro, uscito nel 2022 per Les flâneurs edizioni.
Ci sono due modi di interpretare questa figura a mio avviso. Se la si prende per una donna in carne e ossa qualcosa in lei non quadra. Troppi dettagli della sua vicenda non sono definibili come realistici o verisimili. Se invece la si prende per quel che è, vale a dire «l’alter ego […] di una condizione», come scrive Marina Pierri nella prefazione al romanzo, tutti i tasselli tornano al loro posto. Rebecca non è una moglie, una massaia che si ribella a un marito (Leopoldo, che da Leo, figura portante, professore illustre, si fa Poldo, marito in ciabatte che pensa solo a rimpinzarsi): Rebecca è la moglie, la massaia che compie il viaggio allegorico di liberazione dal marito in quanto simbolo del dominio maschile. Rebecca è un tipo – non uno stereotipo, né un archetipo – ma un tipo.
Il tipo di donna che da giovane sogna un amore romantico senza rendersi conto che «le famigerate farfalle nello stomaco ballano il tip tap esattamente al tempo e al ritmo con cui i bruchi sgranocchiano la materia grigia». Che sentirsi dire «che razza di donna sei?» solo perché non hai stirato una camicia o fatto il bucato a dovere è peggio di ricevere una sberla. Soprattutto se chi parla è l’uomo che hai sposato. Per il quale non sei altro che una colf. Per il quale una moglie non deve fare altro che la colf.
Tuttavia parole pesanti come queste una cosa giusta la fanno: risvegliano la coscienza di Rebecca. Che inizia così un viaggio di cambiamento e scopre il suo lato brillante, divertente, talvolta comico. «Dovevo lavorare sodo per aprire un cantiere dentro di me e cominciare a costruire un crogiuolo di strade e stradine che mi conducesse verso il mondo esterno» le fa dire Emma Saponaro. Quello di Rebecca è soprattutto un viaggio di relazioni, di incontri più simbolici che fisici. Tant’è che, soprattutto all’inizio del romanzo, sembra che lo compia tutto dentro la propria testa e che le varie figure in cui si imbatte – l’idraulico Talete, il fruttivendolo Plato, il biologo Aristide, il programmatore Immanuele etc. – non siano altro che il frutto di allucinazioni o stati onirici alterati dalla rabbia e dalla frustrazione.
I momenti più deboli del testo sono quelli «effetto diario» e le parti eccessivamente dedite a elucubrazioni e commenti che a volte rendono tortuoso seguire le tappe del cammino di Rebecca. Al netto di ciò, il romanzo di Emma Saponaro risulta gradevole e intelligente, grazie all’ironia che filtra attraverso parole colte e leggere, allo stile fluido, all’originale rivisitazione di frasi fatte. Apprezzabile l’idea di unire la cucina ai consigli esistenziali e inserire le chiacchiere divertenti tra amiche che ricorda le storie narrate da Stefania Bertola.
Di donne, anche ai giorni nostri, che non lavorano, non guidano e pensano di vivere un matrimonio che è tranquillo solo perché se ne sta immobile da tempo sotto strati di terra ce ne sono ancora tante. Più di quel che si pensi. A donne come loro farebbe bene leggere questo romanzo. A loro, sì. Ma anche le altre lo apprezzeranno.
Foto in alto: Emma Saponaro
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