In tempi in cui non si parlava certo di linguaggio di genere, Achmatova si definiva poeta, al maschile, perché non amava essere chiamata poetessa.
Anna Andreevna Achmatova è lo pseudonimo di Anna Andreevna Gorenko, una delle figure più importanti della poesia russa, nata vicino a Odessa nel 1889 in una famiglia aristocratica. Quando iniziarono a uscire i suoi primi versi il padre le proibì di usare il cognome di famiglia così Anna scelse di chiamarsi come la bisnonna, una principessa tartara. Amava molto leggere e iniziò presto a scrivere. La sua prima poesia risale ai primi anni del ‘900 e la prima opera, La sera, è del 1912. Seguono Rosario nel 1914, con cui ottenne una vastissima popolarità, e Lo stormo bianco nel 1917. Nel 1921 uscirono Piantaggine e Proprio sul mare e, nel 1922, Anno Domini MCMXXI, raccolte di versi carichi di nostalgia.
In tempi in cui non si parlava certo di linguaggio di genere, Achmatova si definiva poeta, al maschile, perché non amava essere chiamata poetessa.
La Rivoluzione d’ottobre, nel 1917, mise in grande difficoltà intellettuali e poeti. A San Pietroburgo, centro culturale della Russia, si viveva il periodo dell’avanguardia, ma anche quello del dolore e della fame. La città era popolata di artisti che si incontravano in un locale seminterrato per discutere di letteratura e leggere i loro scritti, proibiti dal regime. Oltre al primo marito di Anna, Nicolaj Gumilëv, anch’egli poeta, c’erano Marina Cvetaeva, Boris Pasternak, Sergéj Esénin.
La sua dichiarata ostilità allo stalinismo segnò drammaticamente la sua vita. Il primo marito, Gumjlëv, venne fucilato nel 1921. L’anno successivo fu colpita da censura e il regime le proibì di pubblicare libri. Nel 1938 il figlio Lev venne arrestato. La poeta, come molte altre madri russe, si recava ogni giorno al carcere per avere sue notizie. In questi anni compose Requiem che le amiche, sicure dell’intolleranza del governo, impararono a memoria e che fu pubblicato solo vent’anni dopo. Nella prefazione l’autrice scrisse:«[…] Ho passato diciassette mesi in fila davanti alle carceri di Leningrado. Una volta qualcuno mi riconobbe. Allora una donna dalle labbra livide che stava dietro di me e che, sicuramente, non aveva mai sentito il mio nome, si riscosse dal torpore che era caratteristico di noi tutti e mi domandò in un orecchio (lì tutti parlavano sussurrando): “Ma questo lei può descriverlo?” E io dissi: “Posso.” Allora una sorta di sorriso scivolò lungo quello che un tempo era stato il suo volto.»
Nel 1950, per salvare il figlio internato in un campo di lavoro, scrisse quindici liriche dedicate a Stalin, il ciclo di poesie Slava Miru (Gloria alla Pace). Lev venne liberato tre anni dopo la morte di Stalin e fu la fine di un incubo per la poeta. Nel 1962 pubblicò, il Poema senza eroe, un’opera alla quale lavorava già dal 1942. Nel 1964 la poeta russa ebbe il permesso di lasciare il suo paese per ritirare, in Sicilia, il premio Etna – Taormina. Nel 1965, l’anno precedente alla sua morte, Achmatova fu candidata al premio Nobel per la letteratura e giunse seconda dietro al connazionale Michail Ŝolokhov.
Ascoltiamo oggi Al collo un filo di esili granI, accompagnata come sempre dall’elaborazione video di Debora Menichetti.
Serena Betti
In alto: Anna Achmatova
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Al collo un filo di esili grani
Al collo un filo di esili grani,
celo le mani nel largo manicotto,
gli occhi guardano distratti
e non piangeranno mai più.
Sembra il volto più pallido
per la seta che tende al lilla,
arriva quasi alle sopracciglia
la mia frangetta non ondulata.
E non somiglia ad un volo
questa lenta andatura, quasi avessi
sotto i piedi una zattera
e non i quadretti del parquet.
La bocca bianca è socchiusa,
ineguale il respiro affannato,
e sul mio petto tremano i fiori
dell’incontro che non c’è stato.