Affascinante e misteriosa come la sua terra d’Irlanda, si è opposta agli schemi del mercato, che la volevano reginetta pop e modaiola.
Sinéad Marie Bernadette O’Connor è una delle artiste più interessanti e certamente incomprese del secolo scorso. Affascinante e misteriosa come la sua terra d’Irlanda, ha saputo opporsi agli schemi del mercato, che l’avrebbero voluta reginetta pop e modaiola, imponendo invece il suo temperamento indomabile.
Nasce a Dublino nel 1966, il divorzio dei genitori la segna profondamente e la spinge ad opporsi alla rigida educazione cattolica che le viene inculcata. Il padre la prende in custodia e la affida a diversi collegi. È ribelle di natura, viene espulsa, arrestata per furto e chiusa in riformatorio. Inizia qui a sviluppare un grande amore per la musica, suona la chitarra e compone i suoi brani.
A soli 15 anni si unisce alla prima band In tua Nua e con loro pubblica un singolo che firma come co-autrice. Ma Sinéad O’Connor non è tipo da compromessi e la permanenza all’interno del gruppo non può durare. Ottiene un primo contratto con la Ensign Records nel 1985, si trasferisce a Londra, dove si autoproduce e pubblica, nel 1987, The lion and the cobra, album fitto di riferimenti al Salmo 91 della Bibbia, che inizia un percorso di meditazione filosofica e morale che sarà la sua cifra stilistica.È un successo: si aggiudica un disco d’oro e viene nominata ai Grammy per la migliore performance vocale rock femminile.
Ama essere controcorrente: difende gli attentati dell’IRA, disprezza la musica dei conterranei U2, che giudica troppo commerciale, si fa parecchi nemici, che taccia di maschilismo. Il suo secondo album I Do Not Want What I Haven’t Got ha una rilevanza planetaria, la sua voce è originale, piena di colori, accarezza e graffia all’occorrenza. Il look che la accompagna è immediatamente iconico: capelli rasati a zero e sguardo malinconico, vicino alle atmosfere grunge che sbancheranno da Seattle. Il disco contiene la cover di Nothing compares to you di Prince, e la versione di Sinéad O’Connor è un gioiello purissimo di perfezione pop, capace di surclassare l’originale.
La sua immagine porta alla mente i fasti del punk, la forza evocativa dei Sex Pistols, le lotte civili dei Clash, ma è fortemente in contrasto con i suoi interessi musicali legati ai classici del folk: dai traditionals irlandesi a Dylan a Bob Marley. Il decollo della sua carriera è improvviso e difficilissimo da gestire per la sua fragile psiche, sempre in bilico tra timidezza e rabbia. Prima degli show americani chiede che non venga suonato l’inno per protestare contro il movimento di censura che percepisce all’interno dell’industria musicale. Per questo motivo le radio la boicottano senza scampo ed esplode una terribile ondata di sciovinismo contro di lei.
Nel 1992 compie il gesto estremo che le costerà carissimo, che l’opinione pubblica dei benpensanti non le perdonerà mai: strappa in diretta tv al Saturday Night Live, show di punta in USA, una fotografia di Papa Giovanni Paolo II. Il suo nome è immediatamente cancellato dalla lista dei Grammy e il mondo della musica mainstream da ora in poi la ignorerà per sempre. Quell’atto è una presa di posizione diretta contro la pedofilia, ma il messaggio passa per blasfemo e le causa un’ondata di odio senza pari: minacce di morte, dischi distrutti coi bulldozer, titoloni scandalistici.
Le cose peggiorano quando partecipa allo spettacolo in onore del trentesimo anniversario di Bob Dylan, al Madison Square Garden nel 1992 dove viene sonoramente fischiata dai ventimila presenti. Lei non si perde d’animo: la cover di Dylan prevista viene sostituita da una versione infuocata di War di Bob Marley, che canta sopra gli insulti.
Nel 1993 Sinéad O’Connor è a tutti gli effetti bandita dal mondo musicale che conta, passando velocemente dal paradiso all’inferno. La sua vita di musicista prosegue in direzione ostinata e contraria, pubblicando gioielli come il bellissimo Universal Mother del 1994 o come la raccolta di traditionals in gaelico Sean Nṓs Nùa nel 2002, in cui la sua voce si fa megafono di sofferenza e di purezza.
Restano purtroppo lavori di nicchia, la stampa musicale la ignora e il dolore per la sua condizione di emarginata esplode con continui annunci di ritiro, diagnosi di disturbo bipolare di personalità, la richiesta di essere scomunicata, svariate crisi nervose e mistiche. Dopo la conversione all’Islam e la parvenza di serenità che professa di avere recuperato, l’ultimo e inconcepibile dolore che vive è la scomparsa del figlio Shane, morto suicida a soli 17 anni.
La sua vicenda artistica è raccontata splendidamente in Nothing Compares, film diretto da Kathryn Ferguson e presentato all’ultimo Sundance Film Festival che raccoglie materiali d’archivio inediti, testimonianze della sue battaglie civili, dalla libertà di coscienza all’aborto, con un’intervista inedita della cantante che riflette sul passato con grande lucidità.
Le canzoni di Sinéad O’Connor scavano nel profondo della sua anima, nascono dalla sua ostinazione, dalle sue lotte contro mulini a vento del pensiero borghese, denunciano la sua condizione di artista dimenticata benché viva e vegeta. Potere ascoltare la sua voce, rotta ormai dal dolore di un’esistenza così drammatica, ma radiosa negli spiragli che emergono dalla profondità del suo buio è un grande privilegio per chiunque assista a una sua esibizione live.
Ama la sua terra d’Irlanda, ne condanna le contraddizioni e come lei è magica, impavida e romanticamente fragile. È da poco tornata a pubblicare musica con una nuova versione di The Skye Boat Song, il tema principale della nota serie televisiva Outlander. C’è da augurarsi che possa finalmente ritrovare il posto di rilievo che merita per carisma, caratura artistica e talento espressivo.
Music
Nothing Compares 2U (Live)
The parting glass
Outlander – Season 7 – Opening Titles
Foto in alto: Sinéad O’Connor
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