Fin dal 1978 il Centro di Solidarietà Prato si occupa di aiutare chiunque abbia bisogno di supporto. Il volontariato è fondamentale.
In un società che sta diventando sempre più fredda e individualista, è fondamentale che non si perda il senso reciproco di umanità. Il Centro di Solidarietà Prato – che si trova in via Firenze 13 a Prato – è un luogo dove trovare accoglienza e sostegno. Ne parlo con Leonardo Caponi, uno degli operatori, che c’illustra le attività.
Quando e come nasce il Centro di Solidarietà Prato
«Il nostro centro nasce quarantacinque anni fa, il prossimo mese abbiamo proprio il compleanno, e nasce con una mission molto precisa che era quella di occuparsi di droga. In quegli anni era un problema emergente e il tema delle dipendenze è sicuramente stato il filo conduttore. Per tanto tempo abbiamo avuto comunità di recupero e tanti servizi legati alla dipendenza e alla prevenzione delle dipendenze, ma piano piano, soprattutto nel corso degli ultimi vent’anni, l’attività si è allargata.»
Come?
«Il tema della dipendenza è rimasto, come dicevo, attualmente esiste un gruppo di auto-aiuto per i giocatori d’azzardo Vinci solo quando smetti. Poi sono sorti anche altri tipi di interventi, nelle scuole e nella comunità locale. In questo momento abbiamo altri tre gruppi di auto-aiuto. Diamante è rivolto alle donne per le tematiche femminili, Oggi è rivolto ai giovani e frequentato da ragazzi intorno ai venti anni, ed Exit, l’ultimo nato, che è rivolto alle tematiche maschili e agli uomini. Oltre ai gruppi ci occupiamo anche di altre attività come colloqui, consulenze, progetti contro le discriminazioni, uno sportello per quanto riguarda i temi lgbtqia+ e varie altre iniziative.»
Cosa sono i gruppi auto-aiuto?
«Sono gruppi di supporto atti a creare confronto e condivisione tra chi ne fa parte. A guidarli sono due volontari, uno o una dei quali è uno psicoterapeuta, ma non si tratta assolutamente di un gruppo di psicoterapia. Nascono con un’altra filosofia, ovvero quella di facilitare, aiutare e sostenere i partecipanti con un aiuto reciproco, con la propria esperienza.»
Quali sono le tematiche femminili che affronta Diamante?
«Il gruppo Diamante è nato ormai diversi anni fa, partendo dalle tematiche della maternità, della gestione dei figli e delle difficoltà con i figli adolescenti. Gradualmente si sono aggiunti altri argomenti, come il rapporto con partner, il lavoro, la femminilità ecc. Le tematiche vengono fuori grazie al confronto reciproco, allo scambio tra le partecipanti, che di solito sono circa una decina. Si ritrovano ogni lunedì, qui alla sede del centro, dalle 19:30 alle 20:30. Il gruppo va avanti per tutto l’anno e nel tempo ci sono via via nuovi ingressi. Le donne partecipano per quello che necessita loro, fanno un pezzo di percorso e poi magari lo lasciano. È in continua evoluzione sia per quanto riguarda i temi trattati che le partecipanti.»
Oggi, invece?
«Oggi è uno spazio dove i ragazzi si possono conoscere e parlare, sostenuti e guidati dai conduttori, di alcuni aspetti della vita o difficoltà che stanno affrontando. Nel corso di quest’anno di vita del gruppo hanno partecipato circa una quindicina tra ragazzi e ragazze. Sono state toccate le tematiche più svariate, come per esempio ansia, dipendenze, situazioni familiari, ma anche la transizione di genere, ricoveri in psichiatria e pensieri suicidari. Come detto prima, non è un gruppo di terapia, ma un luogo dove ragazzi e ragazze possono incontrarsi e socializzare, condividere cosa li abita dentro. È un gruppo che ha tanti colori, esattamente come i giovani in quella fascia d’età, ed è bello che nascano amicizie anche al di là dell’incontro settimanale che avviene ogni mercoledì alle 21:00.»
Invece Exit è nato da poco.
«Sì, è così. Abbiamo fatto il primo incontro il 30 marzo, ma già nell’anno scorso avevamo individuato questa necessità. Siamo gli unici ad aver capito che anche la parte maschile ha bisogno di trovare spazi di questo tipo. È molto difficile trovarne, sia perché non ci sono tante iniziative ma anche per una certa resistenza da parte degli gli uomini nel chiedere un aiuto. Magari ci sono amicizie, ci si appoggia in varie situazioni, ma non c’è la possibilità di andare anche su un piano emotivo, di aprirsi all’altro e di trovare confronto e ascolto. Il gruppo è diverso dall’aiuto terapeutico, che molti già fanno, e incontrarsi con dei pari che vivono situazioni simili, o anche diverse, ma che hanno voglia di confrontarsi, è qualcosa di più. Quindi abbiamo pensato di poter proporre questo gruppo avendo l’esperienza degli altri che già facciamo, mettere la nostra competenza a disposizione di questa fetta di popolazione che forse ne aveva bisogno e non trovava aiuti.»
Quindi vi ha spinto un esigenza sociale, in poche parole.
«L’esigenza è stata duplice, in realtà. Una nostra, di operatori del settore e dell’associazione, perché abbiamo rilevato una carenza di questo genere di supporto per il cittadino. Soprattutto, però, la spinta grossa è arrivata attraverso alcuni uomini che, affacciatosi all’associazione, ci portavano queste necessità. Uno dei volontari, che adesso co-conduce il gruppo Exit, ci ha poi raccontato di essersi avvicinato alla nostra associazione perché cercava un gruppo di auto-aiuto maschile. Ci ha dato una mano a costruirlo, a metterlo su, e adesso è uno dei due uomini che lo segue.»
E quali sono i temi che affronta Exit?
«Siamo partiti dall’idea che l’argomento più sentito fosse la separazione e tutto quello che porta con sé. Questo evento ha un grosso impatto nella vita, molto spesso il dover cambiare abitazione, magari tornare dai genitori, le spese economiche più onerose, la solitudine, il poter vedere meno i figli, le difficoltà di relazione con loro… Insomma tutta una serie di questioni difficili da affrontare.»
Ma la separazione non è la sola tematica, esatto?
«Esattamente. La spinta è stata quella, soprattutto per le separazioni difficoltose e dolorose, con strascichi per quanto riguarda i figli. Ma ci sono anche altre tematiche, per esempio le difficoltà di trovare lavoro, problemi di alcolismo o problemi di salute mentale, che sono sopraggiunti insieme alla separazione o c’erano anche prima, problemi di disabilità in famiglia ecc. L’inizio è stata la separazione e quello che porta con sé, poi raccontandosi vengono fuori pezzetti di vita, altri tasselli importanti o altre difficoltà.»
Avete avuto molte adesioni?
«Negli incontri che abbiamo avuto fino a ora abbiamo avuto una decina di adesioni in totale, con una media di quattro o cinque uomini a incontro. Con numeri così possiamo fare un ottimo lavoro di accoglienza e stiamo ricevendo anche altre richieste, uomini che probabilmente si inseriranno nei prossimi incontri. L’età media dei partecipanti va grossomodo dai quaranta ai cinquantacinque anni e devo dire che si è creato un bel clima tra loro. Molto spesso per effetto delle separazioni le reti amicali si interrompono e questo gruppo può diventare davvero un supporto importante. Ma c’è un aspetto de gruppo a cui tengo molto e che vorrei sottolineare.»
Quale?
«Che non è un gruppo contro le donne. Molte delle tematiche che portano delle rivendicazioni sono legate alle difficoltà nelle separazioni, allo sbilanciamento legislativo, e quindi abbiamo spesso un tessuto di sofferenze e di emozioni contrastanti, ma Exit è soprattutto un gruppo dove riflettere sulle proprie mancanze e non dove recriminare contro le donne. È uno spazio neutro dove non c’è da dare la colpa ma da guardarsi dentro, capire cosa si sarebbe potuto fare, se c’è rabbia e magari accoglierla, saperla gestire. Quando abbiamo pensato a questo gruppo, l’abbiamo pensato anche come un gruppo di prevenzione rispetto alla questione dell’aggressività. Accogliamo la parte emotiva degli uomini, quella che ha bisogno di trovare uno spazio che spesso non trova. Come ho detto prima, gli uomini hanno più difficoltà a esprimere i loro sentimenti, soprattutto a causa della cultura e della società. Noi diamo loro un luogo dove potersi raccontare emotivamente, diamo vita a un percorso dove si esce un po’ dallo stereotipo maschile e si va verso una definizione forse più allargata, fatta di tante sfumature con cui si può vivere un’esperienza maschile più articolata.»
Poco fa mi ha nominato il volontariato. Può parlarmene meglio?
«Il volontariato in associazione è chiaramente il fulcro, la nostra parte più importante. Non abbiamo dipendenti, solo i colloqui di consulenza e di psicoterapia che vengono fatti qui in associazione sono retribuiti, ma tutto il resto delle attività che vengono svolte sono puro volontariato. Tutti i gruppi di auto-aiuto sono condotti e sostenuti dai nostri volontari che non percepiscono nessun compenso economico, ma un compenso tipo umano. Sappiamo che il volontariato è un’esperienza che restituisce non solo ai partecipanti ma anche a chi organizza. C’è un grosso ritorno emotivo e di crescita. In tutti i gruppi c’è sempre anche un uno psicologo a condurre, ma lo fa a titolo gratuito. Al momento abbiamo una ventina di volontari, a volte anche dei tirocinanti che vengono a imparare il mestiere e portano il loro aiuto, quindi sono per noi tutti gli effetti anche volontari.»
E come si diventa volontari?
«A chi ci contatta viene proposto di partecipare a qualche nostra iniziativa come raccolte fondi e attività di sensibilizzazione sulle tematiche che trattiamo. Poi, se sono effettivamente interessati al volontariato, facciamo un piccolo ciclo di incontri che serve a formare la persona per poi inserirla nelle attività. Il volontariato è molto importante perché ci permette di mantenere alcuni gruppi gratuiti, come Oggi per esempio. Exit sarà gratuito fino a luglio, poi vedremo come riuscire a chiedere un piccolo contributo per le spese vive dell’associazione, come nel caso di Diamante e di Vinci solo quando smetti.»
Ed economicamente che entrate avete?
«Purtroppo i finanziamenti istituzionali non sono molti. Facciamo attività di autofinanziamento, poi c’è il 5×1000 e, appunto, i contributi dei gruppi. Piano piano ci stiamo facendo conoscere dalla cittadinanza e spero che i nostri progetti prendano sempre più piede nel tessuto cittadino. La solidarietà è fondamentale nella società, noi facciamo del nostro meglio per diffonderla.»
Serena Pisaneschi
Foto in alto: Tim Samuel su Pexels
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