«La perdita di una persona amata non è la fine dell’amore provato. È bello questo modo di vedere le cose perché dona sollievo.»
Pillole di femminile, la rubrica per riflettere su alcuni piccoli grandi temi legati alla vita di tutti i giorni.
Ancora qualche ora e scoccherà un anno da quella telefonata, dalla notte in cui hai chiesto che ti facessero dormire.
Ho pensato di aggiornarti su cos’è successo in questi mesi, ma ti anticipo che non ci sono grosse novità, né belle né brutte. Le cose qui vanno più o meno come sempre e stiamo tutti bene. Tuo nipote ha passato il suo primo anno di medie in modo brillante e con poco sforzo, temo che da settembre dovrà impegnarsi un po’ di più ma non ho dubbi che possa riuscirci. È cresciuto, adesso è più alto di me. Sta iniziando la pubertà, la sua emotività potrebbe darmi (e darci) del filo da torcere, ma so per certo che è la sua ricchezza più grande. Ogni giorno vedo cambiamenti, piccoli o grandi, e mi rendo conto che mi sta scappando dalle mani. Va bene così, dopotutto è il corso naturale delle cose. Non mi è rimasto molto tempo per cercare di educarlo alle cose giuste e belle della vita, considerando poi che il mio tempo da madre è stato drasticamente ridotto della metà quasi subito. Qualità e non quantità, dicono quelli che hanno tutto il tempo del mondo. Dio come odio questa frase… Ma mi adeguo, anche perché non posso fare altro.
Qualche giorno fa abbiamo fatto una vacanza a Napoli. È stato bello, a parte il caldo opprimente. La cosa che più mi ha colpito è stata il culto che i napoletani hanno da sempre per la morte: la vedono come parte della vita. Sono rimasta affascinata dal rispetto e dalla partecipazione composta al lutto. La perdita di una persona amata non è la fine violenta dell’amore provato o l’impossibilità imposta di continuare a provare quell’amore. È un passaggio inevitabile durante il quale non si smette mai di prendersi cura dei propri cari e di considerarli ancora presenti. È bello questo modo di vedere le cose perché dona sollievo. Dovrò parlarne con la mia terapeuta, magari sarà la volta buona in cui ammetterò di non aver ancora superato il lutto (cosa che il mio corpo ha deciso di dirmi mesi fa). Ah, poi a dicembre ho arredato la cameretta. È di quelle a ponte, come la immaginavi tu. Ti sarebbe piaciuta.
Io continuo a lavorare nello stesso posto privo di prospettive e sbocchi. L’esigenza economica prevale sui guizzi di coraggio, e si sa che io non sono mai stata molto coraggiosa. Mi sento inchiodata, impantanata, e non solo con il lavoro. Non faccio passi in nessuna direzione. Spesso mi guardo intorno e mi sembra che gli altri siano propositivi e concludenti, mentre io rimango ferma.
Il progetto della rivista prosegue, ho vicino donne incredibili con le quali condivido gli oneri e gli onori, per fortuna, e non posso che essere grata di questo. La narrativa stenta, non sono ancora riuscita a concretizzare il mio obiettivo. È il mio più grande rammarico, quello di non averti resa fiera di me in tempo. Tu non hai mai condiviso questa mia passione, nessuno che ho intorno lo ha mai fatto, in realtà, e a volte è come nuotare controcorrente. Sarà che io ho imparato a nuotare a trentotto anni e a mala pena so dare qualche bracciata, ma molto spesso sento una gran fatica e vorrei mollare tutto, lasciarmi portare via dalle onde e basta. Tanto, piattume per piattume almeno mi risparmio frustrazione e delusioni, che quelle cominciano ad ammaccarmi un bel po’.
Ecco, questo è più o meno tutto. Mi dispiace di non averti dato qualche bella notizia, magari ci rifaremo la prossima volta. Veglia su tutti come hai sempre fatto e buon riposo, mamma.
Serena Pisaneschi
Foto in altro: Elaborazione grafica di Erna Corsi
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Ci sono lutti che non si possono superare, nemmeno nel tempo, perché non si vogliono elaborare. Il dolore segue solo le leggi del cuore