Social Media Editor di EJR-Quartz per l’Agenzia Spaziale Europea (ESA), lavora per il Programma di Osservazione della Terra.
Dal quinto numero de L’Altro Femminile, donne oltre il consueto, scarica il PDF della rivista o sfogliala online.
Chiara Forin è una donna sui trent’anni, con una formazione comune a tante altre: una laurea in Lettere moderne all’Università di Padova e un Master in Giornalismo scientifico in quella di Trieste.
Chiamata per uno stage all’Agenzia Spaziale Europea, ha finito per innamorarsi dello spazio, a raccontarlo in modi nuovi e interattivi. Ha curato la comunicazione degli astronauti italiani Samantha Cristoforetti e Paolo Nespoli durante le rispettive spedizioni sulla Stazione Spaziale Internazionale.
Come si diventa una Chiara Forin? Servono abilità speciali?
«Adattabilità, se devo dirne una. Dopo aver studiato in tranquille città di provincia, dieci anni fa ho iniziato a lavorare per l’Agenzia, con uno stage che mi hanno offerto durante il corso di Giornalismo. L’anno successivo ho preso parte a un YGT, un programma di formazione per neolaureati e ho cominciato a percepire l’enormità in cui mi ero inserita.
Adesso mi sembra tutto normale ma all’inizio mi sembrava tutto grandissimo: riunioni con centinaia di persone, sedi in diversi Paesi europei, colleghi da ogni parte del mondo con cui si parla quasi sempre in inglese, per non escludere nessuno. Ti si apre la mente quando realizzi che sei un piccolo pezzo in un ingranaggio che arriva fino alle stelle.»
Ci vuole raccontare come è stato lavorare con Cristoforetti?
«Le voglio un mondo di bene, è una persona fantastica e si impara davvero tanto. È stato un periodo di sei mesi, in preparazione della missione, in cui non avevo orari, né pause prestabilite. Non esistono più i giorni della settimana, anche il sabato sera, come quando fu ospite di Fabio Fazio. Si lavora la domenica perché è l’unico “giorno libero” degli astronauti, l’unico in cui non hanno esperimenti o mansioni da svolgere e possono rispondere alle e-mail. Il tempo non è più il tuo, ti devi adeguare al loro.
È una cosa davvero strana: quando sei la metà a terra di una persona nello spazio, il tuo compito è dare risonanza alla sua missione e farlo con la sua voce, non con la tua. Io non sono mai me stessa quando pubblico qualcosa, perché così deve essere. Come prima esperienza è stata molto formativa, mi sono sentita come fossi stata gettata in un macchinario gigante, una centrifuga planetaria. Pesante ma tanto bello che, dopo una rilassante vacanza, ho voluto rifarlo!»
La risonanza l’ha avuta davvero. Samantha Cristoforetti era argomento del giorno su tutti i media; nei social, i suoi video sono ancora molto ricercati e, devo dire, divertenti. Siete state brave entrambe, se c’è stato tutto questo ritorno mediatico, non è d’accordo?
«No. Sam è proprio Sam, quello che vedi è lei. Era perfettamente conscia di tutti i messaggi positivi che aveva l’occasione di veicolare e non si è fatta trovare impreparata. Lei è una che organizza tutto, prepara i video, scrive anche i testi. Non ci sono script o cose preparate, a parte il filtro istituzionale, ovviamente, in quanto in quei messaggi anche lei rappresenta ESA, non se stessa.
Noi a terra facevamo solo da transponder per le sue idee, cercando di amplificare al massimo il risultato. Abbiamo lavorato un sacco prima della missione, per conoscerci bene e preparare possibili contenuti, scambiare idee. Non puoi lavorare per qualcuno nello spazio, essere la sua voce sulla Terra senza preparazione.»
Torniamo coi piedi sulla Terra. Ora le sue mansioni sono cambiate, si occupa del programma di osservazione del nostro pianeta, grazie ai numerosi satelliti europei che inviano immagini. Come si svolge il suo lavoro?
«Sono una dipendente della EJR-Quartz, una società di comunicazione che è contrattista presso l’Agenzia Spaziale Europea. Dopo i tirocini in ESA, mi hanno proposto di lavorare con loro nel 2017 e ufficialmente il mio ruolo è di Social Media Strategist. In sostanza, sono responsabile dei due account del Programma di Osservazione della Terra. Collaboro anche con gli altri canali dei diversi programmi dell’Agenzia, ma principalmente seguo questi due, su FaceBook e Instagram. Dall’anno scorso, sono anche Social Media Manager per gli account della direttrice del programma, Simonetta Cheli.»
Immagino ci sia poco tempo per annoiarsi, tra un lancio di satelliti e la preparazione di contenuti, tipo quelli – molto interessanti – che comparano immagini degli stessi luoghi a intervalli regolari. Sono una testimonianza incredibile di quanto l’uomo abbia inciso sul pianeta, degli effetti del clima sulla crosta terrestre, sugli oceani… andrebbero mostrati a scuola. Come siete organizzati internamente?
«Prima di tutto vanno distinti i contenuti giornalieri, ordinari si potrebbe dire, da quelli legati a campagne speciali come l’Earth Day del 22 aprile o un webinar su temi specifici o anche la presentazione di dati o studi di ricerca. Se sono libera da date istituzionali, mi limito a spulciare archivi di news e immagini finché non trovo qualcosa da pubblicare. Devo ovviamente rispettare degli standard di pubblicazione, sia in termini di frequenza, sia di qualità. Nel programma ci sono diversi mondi tutti indipendenti ma strettamente connessi e coordinati, dove ognuno fa la sua parte. Abbiamo una linea editoriale comune ma newsroom, sala stampa e social media sono tutte parti di un intero. Io sono un piccolissimo pezzetto di un piccolo dipartimento, all’interno di uno più grande. Passo la mia vita al telefono o su Zoom. Se non sono al telefono, mi trovi davanti al computer. Oppure in giro a lanciare satelliti…»
Lei ne parla come fosse una cosa normale, quasi noiosa. Ma si rende conto che non capita tutti i giorni un lavoro come il suo? Nei video poi esce una personalità accattivante, un modo di comunicare trasparente che suscita immediata simpatia. Come li prepara?
«Lo so. Per me è una cosa normale perché sono circondata da migliaia di colleghi come me. Ci si abitua a una dimensione che supera i confini: ho colleghi che vengono da tutti gli Stati europei e sono in contatto anche giornaliero con persone di ogni Paese del mondo. Dopo un po’ rischia di diventare perfino noioso, per quanto sia difficile credermi.
I video poi sono il condensato in pochi minuti di ore e ore di lavoro. Preparo i testi, faccio le riprese, a volte anche l’editing. Ma non sono capace di pensare a me nel ruolo di protagonista, starei più volentieri in pigiama dietro la videocamera. E invece tiro giù il telo verde che fa entrare un pezzo di mondo nella mia cucina e mi impegno a non fare facce strane, a pronunciare bene le parole più strambe, a dire le cose come voglio io. Il modo di esprimermi, la cadenza e la velocità con cui parlo, perfino il numero di parole che inserisco in una frase sono tratti identificativi di me. Sono io e basta.
Davanti al video sono un po’ meno felice di quando potevo lavorare dietro le quinte, ma è il mio lavoro e lo svolgo nel modo più professionale possibile. È solo che non mi piace apparire, già con la radio o i podcast mi sento meglio. So bene che il video aggiunge una dimensione al contenuto ma ho sempre timore che si noti il fastidio.»
È stabilmente tornata nella sua città, Verona. Ha comprato casa, divide gli spazi con un marito che, come lei, lavora da remoto. Possiamo dire che la pandemia ha fatto anche cose buone? O le pesa restare lontana dal cuore dell’azione?
«In effetti, ora che lavoro da casa, la mia vita è cambiata, mi risparmio chilometri in auto e organizzo meglio i miei tempi. Voglio un mondo di bene ai miei colleghi e sono felice quando ci ritroviamo per riunioni in presenza ma diciamo che anche stare a casa non mi dispiace, riesco a trovare un buon equilibrio con la vita familiare. Con mio marito ci siamo divisi i piani di casa, facciamo entrambi un sacco di riunioni e non potremmo stare nello stesso posto. Io finisco alle tre e mezza, ho un part time finché il bimbo è piccolo e vado a prenderlo all’asilo. Tutto perfetto.
Credo sarebbe stato diverso senza la pandemia ma in effetti sono rientrata dal permesso per maternità, dopo nove mesi a casa, nel gennaio 2020, ho fatto part time in ufficio meno di due mesi e poi siamo rimasti tutti a casa di nuovo per due anni. Si può dire che non vado in ufficio su base regolare da quattro anni ormai. Nessuno di noi lo trova più strano, siamo abituati a vederci via Zoom. E poi, ogni tanto vado a Roma e Amsterdam, insomma è una bella routine.»
Tutto organizzato in Terra, ma con uno sguardo verso il cielo. Le viene mai la tentazione di cambiare, di esplorare altri ambiti? Ci sono momenti in cui dice, come la famosa Magda, “non ce la faccio più”?
«Dopo dieci anni, sono un po’ stanca di tener dietro ai social, a ogni nuovo algoritmo o aggiornamento, sembra impossibile ma può diventare perfino noioso e ogni tanto mi trovo a dire uffa! Però la mia vita è fatta di periodi lentissimi, in cui non ci sono lanci o campagne, e altri in cui magari ci sono due lanci di satelliti e ti spediscono in Guinea francese, dove si trova lo spazioporto europeo. Con un lancio passo mesi e mesi a preparare ogni singolo dettaglio di un evento che poi finisce in due ore. Succede che il catering sia in ritardo, di perdere alcuni ospiti in giro per il campus, di dimenticare di mangiare per un giorno intero. Ma alla fine della giornata ci si accorge che è andata benissimo e che ci siamo pure divertiti un mondo.
Stress a parte, basta che mi ricordi di essere parte di uno dei programmi più importanti dell’ESA e mi sento subito orgogliosa del piccolo ruolo del mio gruppo in un contesto enorme. E adoro avere colleghi che vengono da tutti i Paesi del mondo, è un ambiente che ti obbliga a confrontarti con gente diversa in tutto, dal cibo e gli orari del pranzo, a come li saluti o ti approcci a loro. Si impara tantissimo, ti apre la mente e impari addirittura a pensare in una lingua diversa, pur restando te stessa in ogni momento.»
Barbara Salazer
Foto in alto: Chiara Forin
© RIPRODUZIONE RISERVATA