La vita comincia a quarant’anni quando scopri che è infinita e bellissima, come la curiosità della nostra protagonista di oggi, Silvia Susini.
La rubrica Donne oltre il consueto di oggi dà voce alle donne che ogni giorno incontriamo e dietro le quali si nascondono meravigliose storie di vita e intraprendenza. L’idea è nata dagli splendidi scatti della mostra Fate! di Manola Biggeri e da tutti quei mondi che la nostra Paola Giannò, guardando le foto e ascoltando i racconti di Manola, ha intravisto. Mondi che abbiamo pensato di far raccontare alle dirette interessate che sono la prova di come nessuna donna possa essere rinchiusa in uno stereotipo, di come ognuna sia oltre il consueto modo di rappresentare il femminile.
«Mi chiamo Silvia Susini e il motto che mi rappresenta è quello che mi diceva un’anziana amica quando avevo solo vent’anni, “La vita comincia a quarant’anni”. Ero stupefatta e un po’ spaventata: mi sembrava un’enormità di tempo. Quando si è giovani, giovani davvero, la vita è qualcosa che va mangiato di corsa, prima che si raffreddi, come la pizza, a costo di scottarsi il palato.
E difatti fra i venti e i quarant’anni ho trovato il modo di scottarmi diverse volte, anche per via del mio carattere orgoglioso ma insicuro, della mia dipendenza dalle questioni affettive, dell’incapacità di credere nelle mie risorse e nelle mie capacità. Credevo di non esistere da sola, sentivo di non avere significato né speranza.
Tutto ciò a dispetto delle mie evidenti doti, in ambiti diversi: “Hai troppi doni, – mi diceva un’altra amica saggia – è chiaro che fai fatica a scegliere!”. Ovviamente pensavo che fosse matta, dentro di me ero convinta di non valere proprio niente, ero solo un bluff ben riuscito.
E così, mentre studiavo Filosofia, a ventidue anni mi sono sposata col primo amore, conosciuto sui banchi di scuola e ho iniziato una vita indipendente anche economicamente. Per sopravvivere ho curato l’editing di libri per bambini, qualcuno l’ho anche tradotto, ho scritto canzoni e fatto un disco con la RCA, ho guidato il pullmino di una scuola, ho insegnato nuoto e sci ai bambini.
Dopo soli due anni le prime scottature grosse: separazione, dolore, una depressione stranamente frenetica, quindi un figlio arrivato un po’ per caso e un po’ perché la mia vita mi chiedeva di trovarle un senso. Ho abbandonato gli studi e ho mantenuto mio figlio da sola, facendo qualsiasi lavoro possibile: dall’operaia, alla vendita di prodotti per la casa, vestiti, pentole, pubblicità, alle inchieste di mercato. Ho fatto veramente qualunque lavoro mi permettesse di stare il più possibile con mio figlio, quindi mai un lavoro fisso, “regolare”.
Nel frattempo, mi ero trasferita a Sesto Fiorentino, avevo ventisette anni, un bimbo di un anno, un nuovo compagno più giovane di me. Continuavo a coltivare la passione per la musica e il canto e facevo concerti in Toscana con un paio di gruppi ma anche da sola, portando in giro alle Feste dell’Unità, o per l’8 marzo, un mio spettacolo sul femminile (La luna nera, la luna chiara). Un repertorio che spaziava dalle ninnenanne alle canzoni popolari e di lotta, fino ai giorni nostri con canzoni mie o cover.
Con la mia amica Susy Bellucci ci inventammo uno spettacolo per bambini, fatto di canzoni scritte da noi ma anche di filastrocche della tradizione e novelle popolari. Quello spettacolo e l’interazione magica col pubblico infantile è sicuramente uno dei miei ricordi più belli di quei primi anni ’80. Una delle novelle che raccontavamo era quella del Gallo Cristallo, la cui filastrocca iconica musicata da me e Susy (che i bambini imparavano all’istante e ripetevano subito in coro con noi mentre la storia progrediva “Gallo Cristallo, Gallina Cristallina…”) ho scoperto in seguito con stupore di essere cantata nelle scuole materne di mezza Italia!
Poi mettendo insieme varie esperienze e studi fatti per mia curiosità mi sono inventata un nuovo lavoro e per cinque anni ho lavorato con i comuni di Firenze e di Carmignano insegnando educazione musicale e motoria di base ai bimbi della scuola materna ed elementare. L’approccio alla ritmica e alla musica veniva proposto attraverso giochi cantati e ballati della tradizione, filastrocche, giochi ritmici con piccoli strumenti a percussione, interazioni fra i bimbi, canti in coro, ascolto, rappresentazione di storie. Per la prima volta mi balenava l’idea che il corpo c’entrasse tantissimo con l’apprendimento. Sono stati anni incredibilmente divertenti!
Poi, dopo nove anni dal primo, rimasi incinta della mia seconda figlia. E a quel punto la mia insicurezza cronica, la sfiducia nelle mie potenzialità e capacità si fecero di nuovo sentire forte. Decisi che era più semplice lasciare andare la scuola e mettermi a lavorare lì dove vivevo, a Sesto Fiorentino, col mio compagno, artigiano ceramista che produceva incredibili oggetti di design, e al quale occasionalmente davo già una mano se ne aveva bisogno.
Sono sempre stata un’aggeggiona: riparare, sistemare, fare le cosine per bene mi è piaciuto fin da bambina e di questo devo ringraziare mia madre, donna dalle mani d’oro, che mi ha insegnato che ogni cosa che fai, anche la più banale e umile, conviene tu la faccia al meglio delle tue possibilità, per rispetto di te stessa. Così ho cominciato con passione, ma pochissima soddisfazione, a fare l’operaia/artigiana ceramista.
Un mestiere che ho fatto per più di dodici anni, incoscientemente senza pretendere uno stipendio, senza chiedere che venissero apprezzate le mie molte competenze, se non monetariamente almeno dal punto di vista personale e affettivo. Per tutti quegli anni ho fatto l’operaia ma anche la segretaria, la magazziniera, la traduttrice, l’organizzatrice, curavo le pubbliche relazioni, il supporto psicologico, il muro del pianto, tutto senza capire l’enormità delle competenze che mettevo in campo, sempre sentendomi in difetto, sempre in un angolo.
Ovviamente, nel frattempo, facevo anche la mamma e la moglie e avevo anche ricominciato a studiare, passando a Psicologia. I miei interessi e la mia vita personale mi avevano portato verso un percorso molto fecondo di psicoterapia. Volevo diventare psicoterapeuta, aiutare le persone a essere più felici. Purtroppo, riuscii a dare tutti gli esami, ma non ce la feci mai a scrivere la tesi e laurearmi, e questo è uno dei pochi rimpianti veri della mia vita, che per fortuna ti sorprende e ti sospinge sempre.
Per un caso, la mia amica australiana Adrienne, ex fisioterapista e ora insegnante del Metodo Feldenkrais era ospite da me in quella primavera del 1992, esattamente per i miei quarant’anni. Trovai in giro un volantino che parlava del Feldenkrais e lo presi solo perché Adrienne mi faceva una testa tanta con questo benedetto metodo che le aveva cambiato la vita.
Quando lei lo vide si emozionò e mi disse nel suo inglesissimo italiano: “Oh, Sylvia! – non so come, ma riusciva a far sentire la y al posto della i! – ma questo è corso di formazione con Ruthy Alon! Grande maestra, molto spirituale, perfetta per te. Tu devi fare questo, questo è tuo lavoro!”. Lo disse con una tale passione che mi sembrò un segno del destino e decisi subito di partecipare al seminario introduttivo che si sarebbe svolto dopo qualche mese.
L’anziana amica di cui parlavo all’inizio aveva perfettamente ragione: la vita comincia a quarant’anni. Frequentando il seminario, conoscendo Ruthy, rimasi folgorata. Improvvisamente compresi che tutte le mie incertezze e le mie peregrinazioni da un lavoro a un altro, manuale o di relazione, e anche la mie tante passioni e tutti gli interessi un po’ caotici che avevo coltivato da sempre, ma soprattutto quella voglia latente di sentirmi utile, di essere di supporto alle persone, quella voglia di creare un mondo migliore che mi veniva dalle lotte e dalle passioni del Sessantotto, e la speranza inesausta, indistruttibile, la fiducia profonda nell’essere umano che erano il nucleo centrale del mio cuore, tutte queste cose insieme prendevano senso e forma nel Metodo Feldenkrais.
Dopo quattro anni di corso, nel 1997 mi diplomai e fu la svolta e la fortuna della mia vita. Poco dopo infatti, nel 2000, scoprii che il mio compagno, dopo un numero imprecisato di tradimenti di cui ero a conoscenza, senza però aver fatto nulla se non soffrire impotente perché mi sembrava di non avere alternative, aspettava un figlio da un’altra donna, ma non voleva lasciare la “famiglia”, voleva stare con entrambe. Mi sentivo incastrata, pensavo che da sola, col mio lavoro, non ce l’avrei fatta mai a mantenere me e mia figlia.
Di nuovo depressione, paura, e di nuovo la magia della vita che, se la si ama, si fa strada ovunque, in qualunque deserto. L’incontro con la pratica buddista, in quel momento oscuro, pian piano mi dette la spinta per riemergere. Capii che il problema non era fuori di me, ma dentro, nella mia incapacità di credere nel mio potenziale e nelle mie capacità effettive.
Realizzai che il mio lavoro cresceva, mi resi conto che potevo, potevo, potevo farcela da sola. Mi ci vollero anni, ma finalmente mi decisi a chiudere quel rapporto tossico e affrontare, con mia figlia ancora adolescente, la vita da sola. Dal 1997 il Metodo Feldenkrais, di cui sono Insegnante attestata, cioè accreditata degli standard nazionali di qualità e competenza richiesti dal MISE, è il mio unico lavoro, e lo trovo fantastico.
Non è il caso di spiegare diffusamente di cosa si tratta in questo contesto, anche perché il Metodo Feldenkrais è ricco e complesso e si presta a spiegazioni diverse. Mi limito a dire che è un sistema di apprendimento psicomotorio basato sulla capacità del sistema nervoso umano di imparare e creare soluzioni (motorie e non) sempre più efficienti per la vita e il proprio benessere. Chi fosse curioso di saperne di più può consultare il nostro sito italiano, www.feldenkrais.it, dove troverà spiegazioni, video, bibliografia e i nomi di tutti gli insegnanti abilitati in Italia.
Quello che mi preme fare emergere, però, è che per me il Feldenkrais è stata la scoperta della libertà di scelta, delle potenzialità infinite del nostro corpo/mente, di una via per uscire dal dolore (il mio mal di schiena lombare cronico se n’è andato per non tornare mai più) ma anche dai condizionamenti. Il Feldenkrais, se lo pratichi con costanza, ti apre la mente, ti mette sui tuoi piedi, nel tuo centro, ti rende “potente” nella migliore accezione del termine, ti rende libera, forte, elegante. Smetti di invecchiare, comici a crescere e basta, a sviluppare le tue potenzialità, e lo sviluppo è infinito, se tu lo vuoi.
“Se riuscirete a far stare le persone sui propri piedi e piacersi così come sono, sarete richiesti in tutto il mondo”, diceva Moshe Feldenkrais. Credo che che il Metodo Feldenkrais non abbia ancora avuto il riconoscimento e il successo che merita perché un qualunque Potere, sia esso politico, medico o mediatico con una schiera di persone sicure, centrate, consapevoli, indipendenti, libere di scegliere senza essere influenzate suona come qualcosa di molto pericoloso.
Io comunque continuerò a cercare di aiutare le persone a migliorare la propria vita, fisica e non, perché gli aspetti dell’esistenza sono tantissimi e sempre interrelati. Movimenti, sensazioni, sentimenti, pensieri: tutti aspetti dell’universo fantastico e unico che siamo, ognuno di noi. Continuerò, ostinatamente, a cercare di creare un mondo migliore, una persona alla volta, a partire da me, ogni giorno. A quasi settantadue anni, finalmente, non ho (quasi!) più paura di essere inadeguata. La vita è infinita e bellissima, come la mia curiosità.»
Questa rubrica vuole anche sottolineare l’importanza del fare rete, di condividere idee, ambizioni e aspirazioni che grazie alla collaborazione possono prendere strade inaspettate. Se anche tu vuoi diventare una protagonista della nostra rubrica non esitare a contattarci a redazione@laltrofemminile.it.
In alto: Silvia Susini, la vita in movimento – Foto di Manola Biggeri
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Bella storia di un faticoso ma riuscito percorso verso la propria realizzazione personale. Brava Silvia, per sedute di Feldenkrais la consiglio, avendone sperimentato la professionalità, vivamente.