Colpevolizzare la donna e mercificarne il corpo è ormai all’ordine del giorno. La misura è colma e non è più possibile ignorarla.
Nei giorni scorsi è stato mostrato dal TG1 il video di un abbandono, dove si vede una donna lasciare il figlio appena partorito nei bagni di un ospedale. Tutto questo trasmesso sulla prima rete nazionale finanziata da tutti i cittadini. Qualcuno si chiederà che cosa c’è di strano, è una notizia come tante altre. Ebbene no, e per tanti buoni motivi.
Prima di tutto si tratta del video di sorveglianza interno di un luogo di cura, che dovrebbe essere utilizzato solo per garantire l’incolumità dei degenti. Sarebbe da chiarire in quale modo il video di un abbandono possa essere arrivato nelle mani di un giornalista che, senza nessuna remora, ne ha fatto una notizia scandalistica.
In secondo luogo, ma di primaria importanza, c’è la questione morale. In quale situazione deve essersi trovata questa povera donna per comportarsi in questo modo? Non oso pensare che cosa possa significare partorire da sola e poi abbandonare la propria creatura. Se ci aggiungiamo la disperazione di ritrovarsi poi a farlo davanti a milioni di telespettatori ne esce un quadro agghiacciante.
Un’altra questione strettamente legata alle azioni di questa donna è quella degli obiettori di coscienza fra i sanitari. La legge prevede che chiunque possa partorire in ospedale con l’assistenza necessaria per la sicurezza di madre e figlio, per poi decidere di non tenere il bambino con sé. La legge prevede anche che debba essere garantito il diritto all’aborto, entro il termine prestabilito, gratuitamente e in totale sicurezza.
Allora perché questa donna non ha fatto valere i propri diritti? Forse perché non si è sentita tutelata e al sicuro. Esiste un grande numero di ospedali italiani in cui non è possibile abortire perché i medici sono tutti obiettori di coscienza. La stessa legge che garantisce il diritto all’aborto consente loro di scegliere se praticarlo o meno. Il risultato è un servizio praticamente inesistente.
Lo stesso avviene per la rinuncia al figlio dopo il parto, quando troppo spesso la madre viene colpevolizzata per la sua scelta già nella struttura sanitaria che dovrebbe tutelarla. Eppure questi figli hanno sicuramente anche un padre, totalmente assente, al quale non viene mai imputata alcuna responsabilità.
Ricordo una delle prime Pubblicità Progresso. Erano gli anni ottanta, a ridosso delle polemiche sulla legge 194 entrata in vigore nel 1978 che regolamentava il diritto all’interruzione volontaria di gravidanza (IVG). Lo spot recitava: «Fallo nascere, lui crescerà.» All’epoca mi piacque molto, anche se la mia età non mi permetteva di coglierne tutte le implicazioni.
Oggi, nonostante tutto, continuo a trovarlo uno slogan buono. Seppure nato per contrastare il ricorso all’aborto, esprime un concetto fondamentale: se te la senti di portare fino in fondo la gravidanza noi ci prenderemo cura del bambino, affidandolo a chi magari ne attende uno da troppo tempo. Rimane fondamentale che la scelta deve essere della donna che subisce gli effetti della gravidanza. Non si tratta mai di una passeggiata né dal punto di vista fisico né tantomeno da quello psicologico, soprattutto nel caso di una separazione.
Non c’è nulla in tutto questo che possa però giustificare il negato accesso all’IVG. Ancora meno non deve accadere che le donne che intendono rinunciare alla maternità, in un modo o nell’altro, vengano colpevolizzate per questo. L’unico effetto che ne può derivare è la sfiducia negli istituti ospedalieri.
Da qui il passo è breve verso gli aborti clandestini che mettono in grave pericolo la vita delle donne e l’abbandono in luoghi non idonei di bambini partoriti in solitudine, con grandi rischi per madre e figlio.
Come ho già avuto modo di scrivere anche in questo blog, credo che se un medico non se la sente di praticare l’IVG non lo si può costringere. In questo caso però dovrebbe essere indirizzato a scegliere una specializzazione diversa, perché in ginecologia questo intervento è previsto, consentito e deve essere tutelato dalla legge esattamente come tutti gli altri.
Per questi motivi, dai più evidenti ai più reconditi, mostrare il video di un abbandono è stata una scelta dettata solamente dalle necessità di fare audience. Non è stato minimamente tenuto in considerazione il danno che avrebbe causato alla protagonista della vicenda e a tutto il sistema che già vacilla. O forse sì, e questa ipotesi sarebbe ancora peggiore.
Erna Corsi
Foto in alto: di Michal Jarmoluk
© RIPRODUZIONE RISERVATA