Formiche di Serena Pisaneschi. La curiosità dei bambini è forse la risorsa più infinita del mondo, motore e spinta di tante domande.
Pillole di femminile, la rubrica per riflettere su alcuni piccoli grandi temi legati alla vita di tutti i giorni. Ti invitiamo a partecipare alla nostra call per il 2024.
«Mamma, ma le formiche vanno in letargo?» chiese Pilù, accovacciato sui talloni.
«Non ne ho idea» rispose sua madre. Con le braccia spalancate stendeva un lenzuolo per tutta la lunghezza del filo.
«Come fanno gli orsi, tipo, o come le marmotte.»
Pilù stava osservando l’incessante brulicare di quei piccoli corpicini neri e frenetici da almeno dieci minuti. File ordinate di formiche minuscole si allungavano per gran parte delle pietre delle soglia di casa, tracciando righe nette che congiungevano una fessura del terreno all’altra. Uscivano fuori spuntando da cumuletti di terra smossa per poi rientrarci cariche di scorte.
«Secondo me non dormono, magari stanno solo dentro al formicaio perché è freddo e piove. Ora tipo fanno la spesa e poi restano in casa tutto l’inverno, come facciamo noi quando è brutto.»
«Può darsi, sì, accumulano scorte di cibo per non dover uscire, che gli si gelerebbero le zampette.»
«Secondo te hanno freddo le formiche?» Pilù girò la testa verso sua madre, un occhio ridotto a fessura e l’altro strizzato; sul viso una smorfia buffa.
«Secondo me sì.»
«Anche secondo me» convenne il bambino, tornando a osservare le formiche. «Che poi perché quando si incontrano si fermano, si toccano e ripartono?»
«Parlano, si scambiano informazioni.»
«Tipo?»
«Tipo “laggiù ci sono dei buoni semi” oppure “ho visto una coda di lucertola, andiamo a prenderla”. Io ho sempre pensato che si dicessero cose utili al lavoro. Le formiche sono grandi lavoratrici» gli disse sua madre, passando con vigore il palmo della mano per tutta l’altezza del lenzuolo bagnato.
Pilù sembrò pensarci un po’ su, ancora accovacciato, senza dare il minimo sentore di indolenzimento alle gambe.
«Mi ricordo che una mattina ho visto un serpentello morto, là vicino a quel sasso» disse, accennando col mento a un punto poco distante da lui. «Poi dopo pranzo erano rimasti solo dei pezzettini.»
«Sono state le formiche.»
«Non sapevo che mangiassero anche i serpenti.»
«Io penso che si cibino di tutto quello che trovano.»
«Anche dei bacherozzi schiacciati?»
«Anche dei bacherozzi schiacciati, sì. Sono un po’ come le spazzine della natura.»
Pilù rimase assorto nei propri pensieri. Sua madre ne coglieva degli scorci tra lo sventolio dei panni che odoravano di lavanda. Quel formicolio sotto di lui era l’esatto specchio della sua natura curiosa. In testa aveva sempre avuto più domande che risposte, e non si accontentava di semplici spiegazioni, gli piaceva davvero capire. Quando ancora non sapeva parlare bene indicava qualsiasi cosa dicendo: «Pilù?» per chiedere cosa fosse. Da allora quella parole ripetuta decine di volte al giorno era diventata il suo soprannome.
«Che poi passano sempre dalla solita stradina. La pietra è tanto grande, ma si vede una sola striscia nerognola e loro passano solo da lì» continuò il bambino. «Vieni a vedere, mamma.»
«Eh sì, hai ragione, hanno come tracciato un percorso.» Sua madre gli andò vicino. «E passano solo per quella, sia che vadano, sia che tornino.»
«E si toccano le antennine quando si incontrano.»
Pilù allungò il dito indice verso le formiche, ma non le toccò. Seguì il loro cammino in un verso e nell’altro.
«Mi piacerebbe parlare il formichese, chissà quante cose scoprirei» disse.
«Di sicuro tante.»
Il bambino fermò il dito, poi con delicatezza lo avvicinò al suolo. Una piccola formica si arrampicò sull’unghia sporca di terra, Pilù la osservò zampettare frenetica su tutta la sua mano.
«Non mi fa nemmeno il solletico.»
«È piccolissima.»
Due paia d’occhi, resi strabici dalla prossimità, osservavano quel piccolo esserino forse spaventato, forse spavaldo, correre senza conoscere la meta, poiché non aveva trovato altre antenne con le quali scambiarsi informazioni.
«Dai, rimettila con le altre e andiamo a fare merenda» la mamma si sollevò accusando qualche dolore alle ginocchia.
Pilù guardò ancora qualche secondo la formica. Gli ci volle un po’ a farla scendere perché ogni volta che avvicinava la mano al suolo lei tornava ad arrampicarsi. Alla fine si aiutò usando una foglia di tarassaco come passerella. Si alzò scattando come una molla, dall’alto le formiche erano ancora più piccole. Girò sui talloni e corse in casa.
Serena Pisaneschi
Foto in alto: elaborazione grafica a cura di Erna Corsi
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