Appassionata studiosa di Emily Dickinson, Bre ha tradotto per Einaudi tre raccolte di una delle più grandi voci della poesia.
Mi ha fatto molto piacere scoprire che tra le poesie di Dickinson, che Silvia Bre ha tradotto, c’è anche quella il cui primo verso è diventato il titolo dell’ultimo libro che Pia Pera, giornalista e scrittrice che amo molto, ha scritto durante la sua malattia, Al giardino ancora non l’ho detto.
Come scrive Annachiara Atzei sul blog letterario Poetarum Silva: «Il rapporto con Dickinson nasce molto presto. Fin da giovanissima, legge avidamente le sue poesie cogliendo, col tempo, i molteplici strati di senso che i versi della poetessa americana racchiudono, fino a diventarne appassionata studiosa. Per Einaudi, traduce Centoquattro poesie (2011), Uno zero più ampio (2013) e Questa parola fidata (2019). Tradurre, per Bre, è uno dei modi per aggirarsi nella lingua e afferrarne il significato talvolta sfuggente, quasi come se le parole chiedessero di essere interpretate per poter parlare, per potersi esprimere…
Scrittura e traduzione sono arte e l’arte della poesia testimonia la vita. E quando scrive, anche Silvia Bre ha questo intento, quello di dare voce all’uomo, di far sì che l’uomo esca dall’ignoto e ottenga garanzia di eternità. Ne La fine di quest’arte, l’autrice ne delinea, appunto, il percorso che, dalla pagina – quando si tratta di letteratura – si disperde nella vita di ciascuno, attraversandola e dilatandola. “Dire non è sapere”, scrive Bre, ma è più un modo di stare al mondo, un cammino di edificazione del sé. La scrittura, così come la lettura, sono una declinazione del pensare e, dunque, uno strumento di affrancazione e libertà.»
La poesia che proponiamo questa domenica è tratta proprio da La fine di quest’arte. L’elaborazione video è, come sempre, curata da Debora Menichetti.
Serena Betti
Foto in alto: Silvia Bre – di Dino Ignani
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Lo si sa sempre
che verrà un momento
– è già qui in agguato è sotto è dentro –
in cui il disordine l’avrà avuta
vinta a tutto campo
senza neanche un superstite
un abc, un qualunque fondamento
generale, un solo gesto.
Ma forse anche le cose come stanno
hanno un ordine
tanto più vasto
da uscire dall’inquadratura
da non entrare mai
in nessuna mente
così il massimo di reale combacia
con l’astrazione pura
come quando la notte
essere e non essere
niente
si equivalgono.