Tratto da Piangi pure (Bompiani) di Lidia Ravera, un inno alla vita che, con ironia e profondità, sconfigge gli stereotipi sulla vecchiaia.
Pillole di femminile, la rubrica per riflettere su alcuni grandi temi legati alla vita di tutti i giorni.
31dicembre
[…]Non voglio cercarli, I fiori del male, nella libreria. Sono già abbastanza coraggiosa a comperare una bottiglia di champagne.
A vestirmi per una serata di gala. Non lo facevo da anni. Da quando ho smesso di festeggiare la malinconia. Il primo capodanno dopo il ritorno dall’isola, installata di nuovo in questa casa, misi questo stesso vestito, che neppure allora era nuovo.
Nero, con la vita sotto il seno, stile impero, decorato da accenni di petali come graffi, come unghiate d’oro.
“Tu ti vesti per gli altri.” (Le figlie cattive ci azzeccano quasi sempre.)
Tutti si vestono per gli altri, Alice.
Vestiti per te stessa, Iris!
Va bene, capo.
Mi sono ammirata con equità nello specchio della portafinestra, illuminata dai primi fuochi d’artificio.
È uno degli incubi della mia vita, non aver mai cambiato taglia.
Questa magrezza illusoria che mima la giovinezza.
Questo vestito, in cui sono scivolata senza fatica, la lunga cerniera che ho chiuso sulla schiena, è appena un po’ vuoto sul seno. Sono diminuita, più che lievitare come le altre donne.
È questa del resto la mia dieta.
Togliere. Ambizioni, emozioni, desideri. Ridurre la superficie vulnerabile, dalla delusione, dalla frustrazione. Volere poco, chiedere niente.
Sto per entrare nel mio ottantesimo anno d’età.
Ogni mattina scopro, sollevata, di essere sopravvissuta a un’altra notte.
Ho vissuto un giorno di più, ho un giorno in meno da vivere.
La bottiglia non è ancora finita. E io sto già mentendo. Che serva a questo l’alcol?
Non è vero. Non mi sono adeguata alla dieta prescritta dalla mia parte pusillanime. Continuo, di nascosto da me stessa, a volere. A chiedere. A sognare di aggiungere qualcosa o qualcuno. Di annettermi qualche territorio selvaggio. E civilizzarlo.
Sono scesa al piano di sotto. L’interno 16. Sentivo ridere, aprire e chiudere porte, peperepe’ di trombette sul terrazzino, citofoni, castagnole scoppiettanti. Non grandi rumori, è un quartiere pesante e borghese, piuttosto quel tappeto di voci intrecciate che segnala la presenza degli ospiti, un minimo di tre coppie gravate dall’obbligo di fare un po’ di bisboccia. Insomma, di divertirsi. Ho suonato, pulita e strigliata, con la treccia in ordine, il vestito con le unghiate d’oro. E un calice di champagne in mano. Mi ha aperto la signora Petrisco. Ha cercato di organizzare un sorriso accogliente neutro, ma non riusciva a staccare gli occhi dal mio bicchiere.
Che avessi bussato la sua porta mendicando un brindisi? Mancavano undici minuti alla mezzanotte.
Che avessi intenzione di protestare per il rumore proprio in quel momento?
Si è scusata con lo stupore deferente che si riserva una vicina che non si è mai lamentata. Mai. Nemmeno quando la figlia adolescente dei Petrisco ha festeggiato l’assenza dei genitori strepitando ballabili giovanili fino all’alba. L’ho rassicurata. La sua simpatica celebrazione della fine dell’anno 2011 non mi dava alcun fastidio. Ho rifiutato un tiepido di invito a unirmi all’allegra brigata e le ho messo in mano il mio cellulare.
“Sarebbe così gentile da farmi una fotografia?“
Me ne ha scattate sei. In successione. Due con lo sfondo del pianerottolo. E quattro sotto la luce del suo ampio vestibolo ingombro di cappotti. Casomai il pianerottolo si fosse rivelato troppo buio.
Devo esserle sembrata patetica.
Forse le sono apparse in tutta la nuda tragedia della condizione senile e si è vergognata di non aver invitato a cena sua madre. L’essere umano funziona così. Mi ha offerto una fetta di dolce che ho accettato per placare i suoi sensi di colpa e le ho augurato un eccellente 2012.
Appena ho riguadagnato il silenzio del mio salotto, mi sono versata l’ultima coppa, l’ho sorseggiata nei sei minuti residui e a mezzanotte in punto ho mandato la mia fotografia a C. Una delle due ambientate sulle pianerottolo.
Il messaggio accluso:
“Che il nuovo anno ci porti una porzione anche modesta di futuro. Ti aspetto. Iris.”
La sua risposta:
“È il miglior espediente per darsi un futuro, aspettare. Perciò ti aspetto anch’io. Buon anno, cara Iris.“
Ho baciato lo schermo del cellulare.
Mi sono sentita, come è giusto che sia, perfettamente ridicola. Allora ho baciato anche la copertina di questo quaderno con l’intenzione di chiuderlo definitivamente.
Lo sistemerò nel cassetto della biancheria insieme all’altro.
Va bene guardarti da vicino, va bene compilare l’inventario delle tue più intime deformità con l’intenzione di guarirne.
Scrivere può alleviare certi sintomi, caro C., questo te lo concedo.
Ma bisogna saper smettere, prima che ne produca di nuovi.
Quindi, se non ti spiace, ricomincerò a guardarmi da lontano.
La pillola di oggi è tratta da Piangi pure di Lidia Ravera edito da Bompiani.
Serena Betti
Foto in alto: Elaborazione grafica di Erna Corsi
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