Civil War di Alex Garland, ucronia distopica che rimanda a Trump e Capitol Hill

Civil War
Un road movie alla scoperta di una democrazia caduta, di un tiranno dai piedi d’argilla e di quattro coraggiosi giornalisti che rischiano tutto, anche la vita, pur di raccontare la verità.

Civil War è un film molto interessante che fa immergere lo spettatore in un’America in piena guerra civile. Non viene svelato quando è iniziata, dove o perché, né da quanto sta andando avanti. Viene mostrato un presidente asserragliato a Washington che ha messo a ferro e fuoco il suo Paese.

Garland racconta un’ucronia distopica ed è difficile non pensare a Trump e a quanto accaduto a Capitol Hill a seguito della vittoria di Biden, al Black Lives Matter, all’America di oggi insomma, con la lacerazione interna che è diventata così simile alla finzione da sembrare irreale.

La storia è narrata attraverso gli occhi di quattro protagonisti, interpretati da altrettanti attori di grande talento. Wagner Moura, indimenticabile nel ruolo di Pablo Escobar nella serie Narcos, è il giornalista Joel. Kirsten Dunst, nota al grande pubblico già a dodici anni per il ruolo in Intervista col vampiro, ma anche per Piccole donne, Spider-man, Marie Antoniette, Il potere del cane e molti altri, è Lee Smith, una fotoreporter di guerra di grande esperienza.

Porta il nome di Lee Miller (una modella e fotografa statunitense che, durante la Seconda guerra mondiale, fu corrispondente di guerra documentando la battaglia di Normandia e la liberazione di Parigi) e ne vuole ripercorrere le orme. Cailee Spaeny, vista in Pacific Rim – La rivolta, Vice – L’uomo nell’ombra, Priscilla, solo per citarne alcuni, è Jessie, una giovane ragazza che intraprende la strada della fotoreporter ma con lo sguardo ancora fresco di chi non è stato contaminato dagli orrori della guerra.

Stephen McKinley Henderson, l’uomo-computer del Dune di Denis Villeneuve, è Sammy, un anziano giornalista del New York Times che si rivelerà saggio e prezioso in questo mondo rovesciato dove si sono persi tutti i punti di riferimento.

L’approccio dei quattro personaggi induce a una bella riflessione sul ruolo del giornalista che s’imbarca, a suo rischio e pericolo, in un viaggio allucinante verso Washington per riuscire a strappare un’ultima intervista al Presidente prima che venga deposto e giustiziato.

La distopia cui tutti temiamo di assistere in un contesto di guerra civile la troviamo nelle strade secondarie percorse attraverso West Virginia e North Carolina. Negli sbarramenti militari dei vari Lealisti (gli Stati, per lo più della East Coast, rimasti fedeli al Presidente), Separatisti, Alleanza della Florida e Western Front di Texas e California. Nei civili asserragliati nelle bande di balordi che razziano il Paese.

Civil war, trailer

Uno scenario raccontato in un road movie dove chilometro dopo chilometro assistiamo impotenti all’allargarsi delle crepe del perfetto sistema valoriale occidentale. La macchina fotografica, nel film come nella nostra realtà, diventa un’arma da imbracciare. Le immagini sono potere e, soprattutto in un mondo come il nostro, puntare l’obiettivo contro qualcuno può diventare un atto di guerra: social, virale, reale.

Garland in questa pellicola costruisce una tensione sottile e continua fino all’esplosione finale. Un atto di puro godimento cinematografico tra combattimenti, fughe, lotte, deflagrazioni e spari, ma che in fondo punta il dito proprio contro di noi. Il valore di quest’opera è forse quello di disegnare figure e situazioni che nell’ambiguità della guerra non permettono di distinguere i buoni dai cattivi, se questa distinzione è possibile.

La verità è che la guerra trasforma ognuno in vittima e carnefice a seconda di circostanze ed eventi e coloro che la scatenano raramente ne subiscono gli orrori. Ma non in questo film, dove alla fine qualcuno paga, com’è giusto che sia, per le decisioni che lo hanno portato a voler colpire il proprio Paese e i propri cittadini.

Questa storia ci racconta, facendoci inorridire, quello che potrebbe succedere se le democrazie di oggi, o meglio chi governa quest’occidente così evoluto e liberale, non decidesse di fare un passo indietro e ascoltare il suo popolo, stanco di giochi di potere, di prove di forza, di bombe e di morte.

Federica Carteri

Foto in alto: Civil war

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