«Tutto era iniziato per caso. I primi episodi si erano verificati proprio fra le mura domestiche, quando per un nonnulla la sua rabbia aveva iniziato a esplodere.» Per le nostre pillole un racconto composto da Paola Giannò nel 2020 per un esercizio di scrittura che chiedeva di addentrarsi nei meandri dell’animo umano dei senzatetto.
Pillole di femminile, la rubrica per riflettere su alcuni piccoli grandi temi legati alla vita di tutti i giorni.
La prima volta lo notai appena. Camminavo svelta e i miei pensieri erano altrove mentre mi dirigevo verso i banchi del mercato per il rifornimento settimanale di frutta e verdura. Nel sottopassaggio di Piazza Piave spazzava foglie e cartacce con cui il vento di novembre faceva mulinello. Il sabato successivo non lo incontrai, aveva già pulito tutto alla perfezione e sul tavolino accanto al suo letto improvvisato c’era una tazza sbeccata che conteneva pochi spiccioli e teneva fermi alcuni fogli di carta per alimenti sui quali era stato scritto qualcosa con mano malferma.
Al ritorno dal mercato gli lasciai una delle mie mele rosse e una banana, presi un foglietto e me lo infilai in borsa. Me lo ritrovai fra le mani qualche giorno dopo: «Basta poco per rendere felice una vita; è tutto dentro di te, nel tuo modo di pensare. – Marco Aurelio.» Quelle parole mi colpirono. Come poteva parlare di vita felice un uomo che viveva per strada?
Con il passare delle settimane vedersi il sabato mattina diventò un’abitudine. Ogni volta arrivavo portando qualcosa: un thermos con una bevanda calda, un giaccone che in casa qualcuno non metteva più ma ancora in buone condizioni. In un piovoso pomeriggio domenicale gli feci una sciarpa, mi rilassava sferruzzare davanti al camino. Ripensando ai suoi messaggi su quella carta gialla un giorno decisi di portargli un libro. Quando vidi i suoi occhi illuminarsi realizzai che davvero basta poco per rendere felice una vita. In cambio dei miei doni ogni volta mi scriveva qualche riga svelando una parte di sé. Quanto a parlare, parlava poco.
Un po’ alla volta compresi come era finito a vivere in quel sottopassaggio e che un tempo aveva una moglie e un figlio. Quel tempo c’era ancora, da qualche parte, ma non era più suo. Tutto era iniziato per caso. I primi episodi si erano verificati proprio fra le mura domestiche, quando per un nonnulla la sua rabbia aveva iniziato a esplodere. Aveva provato a farsi aiutare, ma i farmaci spesso non funzionavano e i giorni buoni avevano iniziato ad alternarsi sempre più con quelli difficili. Quando stava bene ricordava tutto ed era il dolore più grande perché si rendeva conto che non era quello che avrebbe voluto, non tanto per se stesso quanto per loro.
Con il tempo erano arrivate le giornate in cui non riusciva neanche ad alzarsi dal letto. Restava sotto le coperte, dormiva molto oppure piangeva fino a riaddormentarsi. Nessuno riusciva a trovare una strada per la sofferenza che aveva dentro, nessuno pareva capire. Una mattina di quelle buone, dopo aver accompagnato il bambino a scuola, si era diretto verso la stazione ed era salito sul primo treno; poi ogni giorno era diventato più difficile tornare indietro, infine si era rassegnato: sarebbe stato meglio per tutti.
Avevo pensato tutta la settimana a cosa avrei potuto portare al mio nuovo amico, alla fine avevo optato per un pezzo di dolce fatto in casa e un libro nuovo. Stavolta avevo scelto un libro di poesie. Parcheggiai la macchina ma quando mi affacciai al sottopassaggio lo trovai deserto: del suo giaciglio non c’era più alcuna traccia. Il tavolino con le sue parole era sparito, mucchi di foglie e sporcizia erano ovunque. Doveva essersene andato già da diversi giorni. Restai con il mio pacchetto fra le mani e mi diedi della sciocca: non sapevo neanche il suo nome.
Paola Giannò
Foto in alto: elaborazione grafica di Erna Corsi
© RIPRODUZIONE RISERVATA