Due amiche si ritrovano dopo trent’anni e iniziano una corrispondenza che le aiuterà a ritrovare se stesse e a rinnovare la loro vita.
Pillole di femminile la rubrica per riflettere su alcuni grandi temi legati alla vita di tutti i giorni
La pillola di oggi è tratta dal libro più famoso della scrittrice e giornalista spagnola Carmen Martìn Gaite, Nuvolosità variabile, edito da Giunti nel 1995, che l’anno successivo fu selezionato per il Premio Bancarella.
Nella cartellina delle pagelle, di cartone rigido colore azzurro, ho trovato anche una foto-tessera. Sicuramente quella ragazzina con le trecce bionde e l’aria interrogativa ha saputo risolvere qualche volta i problemi di Matematica, altrimenti non sarebbe stata promossa. Ma non si intendeva di numeri. I numeri non erano che un disegno inalterabile, e i nomi con cui venivano designati non stimolavano la fantasia. Tornai a guardare verso la finestra e il filo della memoria cominciò a ricomporsi. Una ragazzina bionda durante l’ora di Matematica e il professore che dice: «Ha la testa nelle nuvole, signorina Montalvo.»
Le piaceva inventare parole e smontare quelle che sentiva per la prima volta, creando nuove combinazioni con le parti così ottenute, separando e avvicinando quelle che si ripetevano. Le parole un po’ lunghe erano come vestiti con gilè, giacca e gonna: potevi mettere la giacca di una con la gonna di un’altra e tenere lo stesso gilè, o al contrario, cambiare la gonna. Alternando “ge” con “ta”, ad esempio, si ottenevano diverse sfumature di movimento, di inganno, di unione e di offerta: volgere e voltare, fingere e fintare, giungere e giuntare, porgere e portare; era un gioco divertente da fare dizionario.
Alcuni gilè come “filo”, che voleva dire amicizia e “logos”, che voleva dire parola, erano double-face e consentivano variazioni molto interessanti. Un giorno li attaccò insieme e ne uscì un personaggio davvero affascinante: il filologo, o amico delle parole. Lo disegnò in un quaderno così come se l’era immaginato, con gli occhiali color malva, il cappello a punta e in mano un grande retino per farfalle, dove entravano frasi a spirale, cui aveva disegnato le ali. Poi venne a sapere che la parola “filologo” esisteva già, non l’aveva inventata lei.
«Ma non importa, lei l’ha comunque capita e messa in pratica», le aveva detto il professor Pedro Larroque, l’insegnante di Lettere. Tenga sempre con sé il retino per le farfalle. È uno dei divertimenti più sani: acchiappare le parole e giocarci insieme».
Insomma, la lasciava volare sulle ali della fantasia. E lei non tarpava le ali delle parole, perché era loro amica, e perché se sei amico di qualcuno desideri che possa volare. […]
Al professore di Matematica, invece, quei giochi di parole non piacevano affatto, riteneva che distogliessero dai problemi seri, li considerava una pericolosa manipolazione del due più due fa quattro, una perdita di tempo. Un bel giorno, quando senza preavviso cominciò a parlare di logaritmi, la sua lezione venne interrotta in un modo inaspettato e quasi scandaloso. La ragazzina del retino per farfalle si era alzata in piedi per chiedere se quel termine, che sentiva per la prima volta, poteva essere un misto di parola e di ritmo. Le altre alunne restarono con la bocca aperta e il professore si arrabbiò.
«Non c’entra niente, signorina Montalvo. Lei ha sempre la testa nelle nuvole», disse in tono severo. «Farebbe bene a stare attenta.»
La ragazzina bionda, che aveva già iniziato a scendere a patti con la realtà, rendendosi conto che quello che va bene per qualcuno, non va bene per qualcun altro, si sedette senza dire nulla e scrisse sul suo quaderno: «Logaritmo: parola senza ritmo e senza ali. Non c’entra.»
Carmen Martìn Gaite
Serena Betti
Foto in alto: elaborazione grafica di Erna Corsi
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