Un romanzo e uno spettacolo teatrale che raccontano la tragica vicenda della diga del Vajont e della sua catastrofe del 1963.
La mia proposta per questo venerdì è un romanzo per ragazzi che racconta un evento tragico che ha segnato la storia italiana. Si tratta, infatti, di Storia del Vajont scritto da Marco Paolini e Francesco Niccolini e illustrato da Fabio Visentini. Ê pubblicato da Mondadori nel 2023, anno del sessantesimo anniversario della frana che causò un numero spropositato di morti.
La storia della diga del Vajont è nota a molti, ma non a tutti. Situata in provincia di Belluno, fu costruita tra il 1957 e il 1960 faceva parte di un grande progetto idroelettrico. La diga era alta 262 metri e rappresentava all’epoca una delle strutture più imponenti in Europa.
Il 9 ottobre 1963, durante un periodo di intense piogge, un’enorme frana si staccò dal Monte Toc e cadde nel bacino artificiale, provocando un’onda d’acqua che travolse la valle sottostante. La diga resistette all’impatto, ma l’onda devastante causò la morte di circa duemila persone nei comuni di Longarone, Erto e Casso.
Dal momento in cui il progetto ha preso avvio fino alla drammatica notte, di cose ne sono accadute molte. Storie di monti e di montanari che si intrecciano a relazioni e a progetti tecnici, a colpe e responsabilità, a storie di ingegneri e di geologi ma anche degli operai che si sono adoperati nella costruzione. Il risultato fu che la diga venne aperta senza essere stata collaudata.
Floriano accompagna il figlio Alessandro in un viaggio a due della durata di una sola giornata sulle orme del nonno Luzio che aveva lavorato al cantiere della costruzione della diga. Lasciare in tasca lo smartphone e passeggiare per sentieri sconosciuti con il padre, non è quello che il ragazzo avrebbe voluto. Inizialmente è sorpreso di come Floriano si senta a casa in qui luoghi, di come conosca bene una storia che a lui appare molto lontana e che appartiene a un mondo completamente diverso, dove non esisteva la tecnologia attuale e le comunicazioni erano molto più difficili.
Piano piano i racconti del padre cattureranno l’attenzione di Alessandro che inizierà a cercare le notizie pubblicate dai giornali all’indomani dell’accaduto, alcune con firme importanti. Dino Buzzati scriveva sul Corriere della Sera: «Un sasso è caduto in un bicchiere colmo e l’acqua è caduta sulla tovaglia. Tutto qui. Solo che il bicchiere era alto centinaia di metri il sasso era grande come una montagna e di sotto, sulla tovaglia, stavano migliaia di creature umane che non potevano difendersi. Non è che si sia rotto il bicchiere quindi non si può… dare della bestia a chi lo ha costruito. Il bicchiere era fatto a regola d’arte, testimonianza della tenacia, del talento e del coraggio umano. La diga del Vajont era ed è un capolavoro.»
Era stato più facile dare la colpa alla crudeltà della natura che ammettere che dietro a quell’evento «ci siano state colpe gravi, rischi molto mal calcolati, feroci interessi privati». Alla fine del racconto di Floriano, Alessandro resterà senza parole, ma non smetterà così facilmente di pensare a quello che ha appena ascoltato.
Un romanzo perfetto da leggere in classe, ma interessante anche per gli adulti perché è un monito all’importanza della memoria e della responsabilità. Con un linguaggio semplice racconta una vicenda complessa, ma con rigore storico e numerosi dettagli (non mancano i nomi e i cognomi). Si viene trasportati indietro nel tempo e si acquisisce la consapevolezza di quanto sia importante oggi la salvaguardia dell’ambiente.
In accoppiata con il libro di Paolini e Niccolini vi propongo Il racconto del Vajont, un monologo teatrale sempre di Marco Paolini. Scritto insieme a Gerardo Guccini, Alessandra Ghiglione e al regista Gabriele Vacis, narra gli eventi a partire dalla costruzione della diga fino al disastro del 1963. Se non ha avete mai avuto occasione di vederlo a teatro, potete trovarlo facilmente su YouTube.
Il monologo andò in scena la prima volta nel 1993. Il 9 ottobre 1997, in occasione del trentaquattresimo anniversario della catastrofe, la Rai lo ha trasmesso in diretta su Raidue. In quell’occasione fu allestito un teatro proprio presso la diga del Vajont, rendendo ancora più intenso e coinvolgente il racconto.
Lo spettacolo di Paolini non è solo un resoconto dei fatti, ma anche un’introspezione sulle cause sociali, politiche ed economiche che portarono alla tragedia, tra cui la gestione del progetto della diga, le decisioni tecniche sbagliate e l’indifferenza delle autorità. Con la sua scrittura teatrale, Paolini scuote le coscienze, sollecitando una profonda riflessione sulla responsabilità collettiva e sulla memoria storica. Dando voce ai dimenticati, invita a una riappropriazione attiva del passato.
La rappresentazione teatrale fu ispirata, come racconta lo stesso Paolini durante lo spettacolo, dal libro Sulla pelle viva di Tina Merlin. Quest’ultima fu partigiana, giornalista e politica, nota per aver denunciato i rischi associati alla diga del Vajont senza ricevere ascolto.
Il racconto del Vajont ha un impatto molto diverso al romanzo (destinato a un pubblico giovane), colpisce subito e lascia senza fiato: «Duecentosessanta milioni di metri cubi di roccia cascano nel lago dietro alla diga e sollevano un’onda di cinquanta milioni di metri cubi. Di questi cinquanta milioni, solo la metà scavalca di là della diga, solo venticinque milioni di metri cubi d’acqua… Ma è più che sufficiente a spazzare via dalla faccia della terra cinque paesi: Longarone, Pirago, Rivalta, Villanova, Faè. Duemila i morti.» Buona visione e buon fine settimana!
Sara Simoni
Foto in alto: Marco Paolini
© RIPRODUZIONE RISERVATA