Una donna che ha spezzato il silenzio e ha ispirato milioni di altre. La sua storia è un grido di libertà contro la violenza e la vergogna.
Gisèle Pelicot è la donna indiscussa del momento, uno dei simboli della lotta alla violenza sulle donne ma soprattutto il simbolo del coraggio. Ha gettato le basi per una rivoluzione straordinaria, ossia il rifiuto della vergogna.
Le donne vittime di violenza – sia fisica sia psicologica – tendono a provare un costante senso di vergogna che le induce a nascondersi, che le porta a giustificare i carnefici e a evitare di denunciare.
Le donne sono abituate sin da bambine a provare questa emozione che viene impiegata come strumento di controllo per soffocare ogni impulso, ogni pensiero e parola, ogni margine di azione. Il timore è che le donne pensino e agiscano secondo la loro volontà, e la vergogna è un eccellente inibitore.
Già da piccole quello che ci viene insegnato è che la nostra esistenza deve perseguire il principio del pudore e la società non fa altro che amplificare questo regime. Perché se una donna si discosta da ciò che le regole sociali hanno stabilito per lei, allora è considerata una reietta. Non rispettare i canoni porta all’esilio, e nessuna vuole essere emarginata.
Le donne provano vergogna per qualsiasi cosa che non si adegui alla società: rughe, peso, carriera e maternità, ed è inclusa anche la violenza. A questo si aggiunge il giudizio, altro congegno sociale che ha lo scopo di mettere bocca sulla vita delle donne se queste non rispettano le dinamiche prestabilite. E, inutile negarlo, essere giudicati fa paura a tutti.
A nessuno piace ammettere di star soffrendo, ancora meno piace alle donne che da sempre sono considerate il “sesso debole” e che per evitare di essere tacciate di tale debolezza soffrono in silenzio. Una donna raramente confessa di essere stanca, figuriamoci di subire abusi.
Le vittime tendono a imputarsi la colpa, che si traduce in frasi quali «l’ho provocato io», «se fossi stata zitta», «se fossi stata più attenta». Attribuirsi la colpa è un modo per dare senso alla brutalità, un modo per avere il controllo su una violenza che non ha né logica né freni.
Ecco i mostri che la vergogna ha creato, i quali portano le donne a ricercare nel proprio comportamento la colpa della violenza subita. Se una donna si sente colpevole, in tal caso proverà una tale inadeguatezza che ha come conseguenza il silenzio e la tolleranza della violenza.
Per cui immaginiamo come possa essersi sentita una donna le cui aggressioni sessuali sono state filmate, immaginiamo la devastante vergogna che deve aver sicuramente provato in un primo momento. Poi, nel mare immenso della sofferenza, Gisèle ha cambiato prospettiva ed è giunta a una conclusione non immediata ma di certo illuminante: non sono le vittime che devono vergognarsi. È un messaggio potente, oserei dire che è un salvavita.
Si mostra al meglio di sé, adornata dal proprio coraggio, vestita di forza di volontà, fulgida nel suo portamento a testa alta. Come una amazzone pronta a scagliare una freccia, è pronta ad affrontare un mondo che giudica le donne da sempre. Si mostra in pubblico a volto scoperto, rilascia dichiarazioni, cammina tra la folla. Si sta riprendendo la propria voce, quella che per anni suo marito e un centinaio di altri uomini le avevano strappato.
Gisèle Pelicot ha rotto il muro del silenzio e dell’invisibilità perché vuole che tutti ascoltino e guardino. Sta facendo rumore, ed è un suono meraviglioso. È il rumore di chi ha fatto a pezzi la vergogna, di chi mostra a tutti che i reali colpevoli sono gli uomini che hanno leso un pezzo della sua esistenza. Sono questi uomini a dover essere giudicati.
La vita di questa donna è stata segnata in maniera irreparabile dalla violenza maschile e dalle aspettative che la società ha sulle donne. È una vita segnata dal dolore, dalla fatica e dalla speranza di un briciolo di pace. Ma è anche una vita che adesso è impegnata nella lotta. Ha deciso che da oggi la sua esperienza debba essere consegnata al pubblico perché sia una testimonianza.
Questa donna ha innescato una rivoluzione che lascerà il segno e noi tutte le siamo debitrici perché ci sta insegnando che non bisogna nascondersi, che non sono le donne la causa della violenza, che possiamo e dobbiamo camminare sempre a testa alta.
Merci, Gisèle.
Altea Fiore
Foto in alto: Gisèle Pelicot
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