Le parole di Canalis e Fagnani e il modo in cui sono state espresse durante la trasmissione Belve, andata in onda su Rai 2 il 3 dicembre 2024, sono molto gravi.
Una donna, intervistata da un’altra donna, ammette di aver malmenato un ex (il calciatore Bobo Vieri) in un bar, tanto che qualcuno è dovuto intervenire a dividerli. Le due, intervistatrice e intervistata, liquidano la cosa come se fosse un divertente sketch comico, con risatine e battutine. Cosa sarebbe successo se in quella trasmissione televisiva ci fossero stati due uomini e uno di loro avesse ammesso candidamente di aver picchiato una ex al bar davanti a tutti? E se il conduttore avesse fomentato la cosa ridacchiando e incalzando con un ironico e poco opportuno “ma davvero?”. Il giorno dopo, avremmo trovato i giornali tappezzati di pezzi inneggianti alla violenza di genere. E di sicuro ci sarebbe stata una vera e propria insurrezione popolare.
Invece per lo più si è minimizzato il fatto. Perché tanto Vieri era fisicamente imponente e Elisabetta Canalis non avrebbe potuto causargli chissà che danni fisici. Il punto è che la violenza è sempre violenza e non va giustificata. Quanto può essere umiliante per un uomo essere di fronte ad uno sfogo violento della propria compagna o ex e non poter reagire. Non importa di quanto si sia fisicamente sproporzionati, tanto che il danno inflitto potrebbe anche essere nullo, ma a livello psicologico? Immaginate l’impotenza provata da quest’uomo, o da qualsiasi altro uomo nella medesima situazione. Essere picchiato sapendo di non poter reagire in alcun modo, credo sia una cosa terrificante.
Elisabetta Canalis – bella, ricca, famosa, adorata dal pubblico – ridacchia come un’adolescente. E Francesca Fagnani – eroina nazional-popolare dopo l’episodio con Teo Mammuccari – fa battutine in un episodio che è un esempio terribile per tutti noi. Che giornalismo è mai questo? Che trasmissione – Belve su Rai 2 – permette la messa in onda, sulla televisione di Stato, di una cosa del genere? Non si può sminuire la violenza solo perché l’ha subita un uomo. A parti inverse, infatti, sarebbe partita la gogna mediatica, perché siamo sempre tutti bravi a indignarci quando le vittime sono donne. Possiamo pensare di sconfiggere la violenza di genere se continuiamo ad accettare cose come questa? Non è accettabile che la violenza, qualsiasi violenza, venga sminuita in questo modo. Non è accettabile avere due pesi e due misure.
Ci sono anche altri esempi recenti. Nel leccese un parroco che denuncia per stalking una parrocchiana che lo perseguita perché lui non ricambia il suo amore. Oppure pochi giorni fa sul litorale romano l’omicidio di un quarantatreenne, con una coltellata al petto da parte della ex compagna e madre di sua figlia, al culmine dell’ennesimo litigio: un maschicidio. Ma nessuno parla di “maschicidi” mentre tutti invocano i “femminicidi” anche quando la violenza di genere non c’entra nulla e si tratta invece di omicidi per ragioni economiche o di altro tipo.
Un reato non cambia natura a seconda di chi lo commette. I femminicidi sono ormai quasi all’ordine del giorno, ma la frequenza non altera la natura del crimine né la sua gravità. Viene da chiedersi se le statistiche non siano falsate rispetto al movente dell’omicidio stesso.
La brutalità non ha genere, è una caratteristica della natura umana non legata al sesso. È altrettanto vero che è più frequente negli uomini, come se il testosterone li rendesse più aggressivi, così come, almeno in parte, la mentalità e la cultura. Ma invocare sempre e comunque la violenza sulle donne e ignorare il resto non è degno di una società civile, è sintomo di una civiltà decadente che invece di provare a migliorarsi va solo in cerca di scuse e di capri espiatori.
Questo siamo diventati: una civiltà in declino piena di idoli dai piedi d’argilla che si sgretolano sotto il peso di parole vuote e principi fasulli mentre ci scagliamo gli uni contro gli altri accapigliandoci per qualsiasi cosa, una parola sbagliata, un gesto istintivo, un commento inopportuno. Ognuno di noi è colpevole: di non schierarsi, dell’omertà, di non essere intellettualmente onesto, di odiare, anche se solo da dietro uno schermo. La violenza siamo noi. Siamo tutti colpevoli.
Federica Carteri
Foto in alto: Elisabetta Canalis e Francesca Fagnani da www.tuttosport.com e www.chimagazine.it
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Senza entrare nel merito del caso dell’intervista citata dissento su alcune considerazioni espresse da Federica Carteri. Non è che un reato cambia natura a seconda di chi lo commette, ma per femminicidio si intende l’uccisione di una donna determinata proprio dal suo essere donna. Se una donna muore in un’attentato o un incidente infatti non si tratta di femminicidio. Non si parla mai invece di maschicidio perchè i pochi i casi che si sono verificati non costituiscono un “fenomeno statistico”, mentre i femminicidi lo sono al punto da essere identificati con la “violenza di genere”. Il genere non si riferisce solo al femminile ma se la violenza di genere viene oggi identificata con i femminicidi già questo dovrebbe far riflettere sulla rilevanza statistica del fenomeno e sulla percezione che ne deriva. Non sono d’accordo neanche sul fatto che la brutalità sia una caratteristica della “natura umana”. Se per “natura” si fa riferimento agli aspetti biologici o genetici possiamo parlare del colore degli occhi o dei capelli, ma di certo la natura non attribuisce comportamenti. Quelli vengono piuttosto “costruiti” nel tempo e dalle interazioni con il contesto anche se il discorso sarebbe molto ampio. Affermare che sia qualcosa di “naturale” significherebbe dire che qualcuno nasce “brutale”. Se negli uomini viene registrata una maggiore aggressività credo piuttosto che debba essere attribuita importanza alle cause culturali e sociali che spesso (per fortuna non sempre) ingabbiano l’uomo a dover rispettare certi stereotipi per non correre il rischio di non essere considerato abbastanza uomo. Per fortuna non sempre perché non tutti gli uomini sono aggressivi. Certamente anche le donne possono essere aggressive (come negli esempi citati) e, su questo non posso non essere d’accordo con Federica, la loro violenza non può non essere condannata.
Sono d’accordo sul fatto che la violenza vada condannata sempre e che sia grave la sdoganatura fatta dalla trasmissione di di Rai2. Ci piacerebbe un chiarimento. Non condivido altre argomentazioni di Carteri, trovandomi in perfetta sintonia con quanto espresso da Paola Giannò nel suo commento.
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Ho visto l’intervista, sono rimasta piuttosto sorpresa dal tono, dalla leggerezza con cui è stato commentato. Per me questo è un argomento serio, molto serio e le risatine erano decisamente fuori luogo. Poteva essere un’occasione per parlare della violenza psicologica, di cosa alle volte si è disposte o costrette a sopportare per ‘amore’ di un uomo. Ed è stata sprecata, anzi ridicolizzata. Se una donna ha una reazione così violenta deve averne sopportate tante e se sbotta, quando come e dove capita… capita. Intendo dire che lei non si è neppure preoccupata di essere famosa con un compagno famoso, dentro un locale pubblico. Canalis non è una personaggia a cui ho dedicato mai particolare attenzione, anzi, ma quando ho ascoltato questo aneddoto dentro di me ho pensato, con una punta di invidia, ‘brava, è riuscita a tirare fuori la sua rabbia, a interrompere la sottomissione’. Io non ne sono stata capace, e come me penso molte altre donne. La violenza non è per niente una bella storia e va condannata sempre. Ma, almeno per me, la reazione è legittima e può essere salvifica. E comunque ‘mai più zitte’.