La critica dipinge la serie tv come superficiale e poco o nulla aderente all’opera originale del Boccaccio. Un esperimento mal riuscito?
Da Boccaccio alla serie Netflix The Decameron. Partiamo dalla vicenda che si svolge nel 1348 in Toscana vicino Firenze, nella tenuta di Villa Santa. Alcuni nobili non appestati, decidono di rifugiarsi in campagna per sfuggire alla pestilenza. Le novelle e la struttura di dieci giorni di Giovanni Boccaccio vengono abbandonate a favore di scene di vita quotidiana in cui i protagonisti convivono, litigano, amoreggiano. Il problema è quindi il titolo, perché se questa serie si fosse chiamata diversamente, sarebbe stata giudicata simpatica e godibile, con un pittoresco black humor e dei ruoli azzeccati. Peccato che abbiano sprecato l’occasione di sfruttare una storia già suddivisa in capitoli che avrebbe garantito almeno 10 stagioni e, soprattutto, di far avvicinare le masse alla lettura dell’opera originale.
Il Decamerone di Boccaccio è diverso: dieci ragazzi che in dieci giorni raccontano cento novelle, anzi centouno dato che nella quarta giornata s’inserisce anche l’autore. Boccaccio prende ispirazione, tra le varie fonti, dal Libro di Syntipas (o Sindbad), una raccolta bizantina di novelle in cui sette savi decidono di raccontare delle storie per evitare la condanna a morte del Principe. Nel Decamerone il gruppo si trova a raccontare novelle per tenere a bada la paura della peste che imperversa in tutt’Europa, dove «non vi è più distinzione alcuna tra le cose oneste e quelle che oneste non sono.»
La lieta brigata non fugge dalla peste nera, sa perfettamente che ha invaso anche la campagna, ma cerca di allontanarsi dalla volgarità e dalla corruzione causate dalla paura della morte. Fugge per cercare di ritrovare la ragionevolezza, il decoro, un certo equilibrio tra la natura, le vicende imposte dalla fortuna e l’onestà del vivere civile. Anche se si leggono alcune novelle dal carattere licenzioso e piccante, non significa che l’intero Decamerone e i suoi protagonisti siano dissoluti e peccaminosi. Con la peste «le leggi del piacere si erano allargate» ma la lieta brigata riesce comunque a mantenere un certo distacco e un’elegante misura.
La trama della serie ideata da Kathleen Jordan si srotola lungo lo svilupparsi di vari triangoli amorosi e intrighi che si svolgono all’interno della villa, ma che nel Decamerone non compaiono. I riferimenti alle novelle sono appena accennati e mai sviluppati, tranne forse nell’ultima puntata, anche se sono molto divertenti, alcune esplicite – certamente anche moderne – alcune tristi, c’è veramente tutto.
Come di consueto Netflix inserisce a casaccio etnie, con nessuna attinenza storica, e trame omosessuali, anche se, almeno stavolta, non disturbano e non sono fuori luogo, pur forse statisticamente eccessive (tre personaggi principali omosessuali su dieci, non sono un po’ troppi?). Ci sono rivendicazioni sociali ed economiche, familiari, qualche scontro violento, una morale un po’ bigotta, ma nel complesso il tutto risulta non volgare e simpatico.
Il dramma sembra quasi una soap opera, ha un’ottima colonna sonora anni ’80 e non ha la presunzione di aver trascritto né l’opera di Boccaccio (cui si ispira solamente) né versioni cinematografiche blasonate come quella di Pasolini o di Taviani, è solo la solita rivisitazione all’americana. Ha però ha il pregio di essere difficilmente collocabile in un genere preciso, un punto decisamente a favore di questo prodotto.
Ambientata in Toscana, in realtà è stata girata in luoghi del Lazio poco conosciuti ma straordinari, ad esempio Villa Santa, l’ambientazione principale, è Castello Ruspoli (che si trova nella Tuscia, ovvero il Lazio settentrionale) e la chiesa della prima puntata è quella di San Pietro a Tuscania in provincia di Viterbo.
I personaggi – Licisca (Tanya Reynolds), Sirisco (Tony Hale), Pampinea (Zosia Mamet), Misia (Saoirse-Monica Jackson), Filomena (Jessica Plummer), Tindaro (Dougghie McMeekin), Dioneo (Amar Chadha-Patel), Panfilo (Karan Gill), Neifile (Lou Gala), Stratilia (Leila Farzad) e Calandrino (Alfredo Pea interpreta un personaggio ricorrente, molto divertente delle novelle di Boccaccio, che nella serie viene usato come ruolo di secondo piano) – sono tutti centrati e dotati, peccato che l’intero lavoro, per lo meno in Italia, sia stato frainteso e poco apprezzato.
Approcciarsi a questa serie di puro intrattenimento andrebbe fatto senza aspettative, in modo da vedere un programma simpatico che nulla ha a che vedere, tranne il titolo, con il tanto amato Decamerone del nostro Boccaccio, anche perché – ammettiamolo – nessun prodotto televisivo ne uscirebbe mai nemmeno alla pari.
Federica Carteri
Foto in alto: da Wired.it
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