Pillole di Femminile – Storie piccole che raccontano un mondo grande #125

pillole di femminile - francesca marini
Con grande piacere pubblichiamo “All you can eat”, racconto con il quale Francesca Marini ha partecipato alla nostra ultima call del 2024: “Futuri imperfetti”.

Pillole di femminile, la rubrica per riflettere su alcuni piccoli grandi temi legati alla vita di tutti i giorni.

ALL YOU CAN EAT di Francesca Marini

Martina aspettava che suo padre venisse a prenderla e intanto spiava Whatsapp per vedere se il suo messaggio era stato letto. Desiderava e temeva la doppia spunta blu. Perché Vale non faceva l’accesso? Dormiva?  Oppure aveva visto la notifica e non aveva aperto per non farle capire che aveva visto? Si era esposta troppo e adesso si sarebbe fatta male?

Doveva cercare di stare calma anche se non era facile, con sua madre che continuava ad agitarsi in su e in giù per la casa con la paura di scordarsi qualcosa da mettere in valigia. Era il suo primo Capodanno da separata, e lo avrebbe passato a Siviglia con le amiche. La sua eccitazione riempiva l’aria.

«In realtà sarei io la ragazzina,» pensò Martina, era il primo Capodanno dopo la separazione anche per lei, le avrebbe fatto piacere stare insieme, però era contenta che sua madre si facesse questa vacanza, ci teneva tanto.

Il giorno prima, 29 dicembre, Martina aveva compiuto quindici anni. Erano state a pranzo fuori insieme e aveva cercato di parlarci con sincerità ma la sua mamma era in piena fase seconda adolescenza e a momenti era imbarazzante. Le era presa questa fissa per la forma fisica e voleva trascinare anche la figlia in palestra, blaterava che mangiava schifezze come tante adolescenti e infatti stava mettendo su peso. Come se questo fosse il problema. Perfino più del calo del suo rendimento scolastico. In prima era stata promossa con tutti otto e nove invece adesso non andava oltre il sei, sei e mezzo, e aveva preso un paio di insufficienze.

Per fortuna suo padre era arrivato, Martina sarebbe voluta scendere giù ed evitare di far incontrare i suoi genitori ma Pietro si era presentato direttamente alla porta.

«Ciao amore, buon compleanno, anche se in ritardo,» e l’aveva abbracciata. Lei si era lasciata avvolgere in quell’abbraccio. Dei suoi genitori era suo padre quello che aveva subito la separazione, e che adesso si sentiva spaesato. Quello era l’abbraccio di due naufraghi. Martina provò una fitta di tenerezza.

Adesso doveva essere brava a portarlo via prima che con la mamma iniziassero a punzecchiarsi. 

«Grazie papà. Ora andiamo. Ciao mamma, scrivimi quando arrivi.»

Suo padre aveva avuto giusto il tempo di balbettare «Ciao, Caterina, stai molto bene…,» ed era stato trascinato nell’ascensore prima di poter ricevere indietro una risposta sarcastica.

E questa era fatta, pensò Martina, che fatica, però. Ma perché le persone di mezz’età ritornavano così facilmente alla stupidità delle scuole medie? Forse era un effetto dell’invecchiamento delle loro cellule cerebrali.

Avevano prenotato a un ristorante giapponese, almeno suo padre non era andato in fissa con la forma fisica e il mangiare sano. C’era poca gente, era un pranzo infrasettimanale e il giorno dopo era l’ultimo dell’anno. Martina guardava suo padre che sfogliava il menu, aveva più capelli bianchi e più occhiaie del solito. È proprio vero che le pene d’amore non hanno età.

Ripensò all’ultimo giorno di scuola prima delle vacanze di Natale: era passata una settimana ma sembrava una vita. Riandò con la mente a quella carezza, al calore che le aveva dato, e al terremoto che aveva scatenato in lei. A quel sorriso meraviglioso. Ci aveva pensato continuamente nei giorni a seguire, sentiva ancora quella mano sulla guancia. Aveva interpretato bene? O rischiava di fare un casino enorme? Lei stessa era molto confusa sui propri sentimenti, come poteva pensare di convincere un’altra persona?

Ma perché nell’ultimo anno tutto era diventato maledettamente difficile? Quando era bambina e la sua vita era ancora perfetta, il suo papà le aveva letto un’infinità di volte Peter Pan. Ecco, adesso che si erano separati, i suoi genitori, mamma con la sua iperattività, papà con la sua malinconia, le ricordavano i bambini dell’isola che non c’è. Spersi. Proprio nel momento in cui Martina avrebbe avuto più bisogno di loro. E invece si era tenuta dentro i suoi turbamenti fino a quando pochi giorni prima aveva avuto il coraggio di ammettere la natura dei propri sentimenti.

Il ristorante era un All you can eat; si fecero prendere la mano con le ordinazioni e si ritrovarono con la tavola piena. A un certo punto a suo padre sfuggirono di mano le bacchette e un pezzo di onigiri cadde nella salsa di soia sollevando uno tsunami che gli macchiò la camicia. Lui rimase per un attimo imbambolato e poi scoppiò in una risata fragorosa. Iniziò a ridere, aveva le lacrime agli occhi e non riusciva a smettere. Martina ne fu contagiata e si ritrovarono a ridere come due matti, incuranti delle persone ai tavoli accanto e della cameriera che si avvicinò chiedendo se era tutto a posto.

«Oddio, era da tanto che non ridevo così!.»

«Anche io, hai fatto una faccia! Ci guardano tutti!»

«E chi se ne frega? Sai una cosa, Marti, sono contento, magari la camicia resterà macchiata e puzzolente di salsa di soia, ma almeno ci siamo fatti una risata.» Poi, tornando serio, aggiunse «Lo so che è stato un anno complicato, e mi dispiace non essere stato sempre al meglio come genitore.»

Martina sentì che quella confessione, dopo lo sconquasso della risata, le stava sciogliendo un grumo dentro. «Non preoccuparti, papà, non si può essere sempre al meglio, e poi che vuol dire? Nessuno è perfetto.»

«Lo so che in quest’anno non sono solido come dovrei, ma per te ci sono sempre. Non voglio attaccarti un pippone sulla scuola o sulla vita, è pure il tuo compleanno, ma sappi che mi puoi parlare di tutto.»

Martina sentì come una diga che cedeva. Ma l’acqua che esondava non era necessariamente un male. «Secondo te di cosa vorrei parlarti?»

«Beh, contando che hai quindici anni, domani vai a quella festa di Capodanno ed è tutto il pranzo che guardi il telefono, non ci vuole un genio per capire che si tratta d’amore.»

Martina strabuzzò gli occhi.

«Sì, tesoro, e anche se ti sembro la persona più inadatta, e probabilmente lo sono, visto l’attuale sfacelo con tua madre, se me ne vuoi parlare, ti ascolto.» Suo padre le stava tendendo una mano, un salvagente nel mare mosso in cui entrambi si ritrovavano a nuotare.

Martina decise di provare ad afferrarlo e vedere che succedeva. Prese un bel respiro e attaccò a raccontare. «Papà, mi piace una persona. Tanto. Pensavo fosse amicizia e invece è qualcosa di diverso. Mi sembra di piacerle anch’io ma non sono sicura e ho paura di combinare un casino e rovinare tutto. Le ho scritto un messaggio e sto aspettando che mi risponda. Ah, non ti ho detto chi è. È Valeria, la mia compagna di classe, quella brava in scienze.»

Lo aveva fatto davvero. Lo aveva ammesso ad alta voce a un’altra persona, a uno dei suoi genitori. Martina espirò. Era contenta di averlo buttato fuori. E guardando suo padre lo vide sorridere, come non succedeva da tempo.

In quel momento arrivò la notifica di Whatsapp.

«Papà, papà, mi ha scritto!»

«E leggi! Vogliamo stare sulle spine tutto il giorno?»

Più tardi, mentre rientravano nel piccolo appartamento in affitto, Martina sentì che, per quanto incerto, l’anno nuovo li avrebbe trovati insieme ad affrontare le loro vite imperfette. E si sentì grata.

Francesca Marini

In alto: elaborazione grafica di Erna Corsi

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Francesca Marini
Francesca Marini

Francesca Marini è nata 44 anni fa a Livorno. Ha una figlia di nome Adele, due gatte, due pesci rossi non si sa se maschi o femmine. Lettrice compulsiva fin dall’infanzia, ha sviluppato una dipendenza da romanzi gialli per la quale non vuole curarsi e da un po’ ha iniziato a scrivere racconti, con uno di questi ha vinto la terza edizione Concorso Letterario Marco Faccini 2024: Storie di dipendenza.

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