Sandra Salvadori e il suo motto ricorrente: «Nessuno si salva da solo!»

Un percorso personale e lavorativo di una donna oltre il consueto che è sempre stato in collegamento con le esperienze vissute nel tempo e in situazioni diverse.

Sandra Salvadori è un punto di riferimento per molte donne. Come le matrioske, che nascondono al loro interno altre bambole, lei racchiude in sé una rete di relazioni e di supporto. Dal sindacato allo sportello Donna Chiama Donna, fino all’associazione AISM, la sua vita è dedicata ad aiutare chi ha bisogno, dimostrando che la solidarietà è la chiave per superare ogni difficoltà.

Ci racconta in breve chi è Sandra Salvadori?

«Ho cinquantanove anni, abito a Firenze e per trent’anni, dal 1992 al 2022, sono stata delegata sindacale di Unicoop Firenze. Dal 2023 mi occupo dello sportello di mutuo aiuto Donna Chiama Donna creato nel 1987, purtroppo tutt’ora attuale, e che offre sostegno alle donne vittime di violenza in tutti in campi, in famiglia, nei gruppi e nel lavoro. La mia storia è iniziata tanti anni fa, come delegata sindacale. La maternità è arrivata poco dopo, ma ho deciso di non interrompere il mio impegno politico sindacale, neanche dopo la separazione dal padre di mio figlio.

Ho potuto farlo perché il gruppo di delegati con il quale lavoravo mi ha aiutata. Essendo una madre single con un bambino piccolo, ho richiesto un part-time mattutino per potermi dedicare alla sua cura. Questo, pur essendo una prima soluzione, si è rivelato inadeguato di fronte alle richieste imprevedibili del mio lavoro. Infatti, quando hanno bisogno, i lavoratori non guardano l’orario. Ti chiamano e basta. Questo riassume un concetto in cui credo molto e cioè che nessuno si salva da solo.»

Cosa comportava il doppio impegno del lavoro e dell’attività politico sindacale con un bambino piccolo da crescere?

«Ripensandoci adesso che mio figlio ha trent’anni credo che sia stata un’esperienza che ha coinciso con un periodo molto bello. Nonostante qualche pomeriggio me lo sia dovuto portare alle riunioni riuscivo sempre a farla passare come una forma di gioco. E quando finiva la riunione andavamo a mangiare la pizza o facevamo cose che piacevano a lui. Era orgoglioso di venire a lavorare con la mamma anche se non poteva andare ai giardini a giocare.

Devo anche dire che, tante volte, le altre mamme mi hanno aiutata mentre lavoravo. Una caratteristica della nostra famiglia era che c’era sempre un’occasione per festeggiare, magari anche solo con una pasta al burro, ma riuscivamo ogni volta a trasformare le difficoltà in un messaggio pedagogico positivo. Per questo non ho vissuto il part time con frustrazione, ma come una scelta, che poi ho rivisto tornando a tempo pieno quando mio figlio è cresciuto. In questo modo sono riuscita a conciliare la vita privata con il lavoro e l’attività sindacale, che non ho voluto lasciare.»

Quali sono stati i momenti che ricorda come più complicati?

«Era già difficile lavorare con un bambino piccolo senza lasciare l’attività del sindacato, poi nel 2008 mi è stata diagnosticata la sclerosi multipla. È stato un momento abbastanza difficile anche perché abbiamo casi in famiglia. Avevo quarantatré anni e mio figlio ne aveva tredici. Sono andata comunque avanti, ho iniziato le terapie una volta a settimana, il giorno dopo ero a lavorare e, anche se con più difficoltà, ero riuscita a creare un certo ingranaggio. Questo però non è bastato, perché nel 2010 mi hanno diagnosticato un carcinoma infiltrante al seno destro. Avendo la sclerosi multipla non è stato uno scherzo perché le terapie mi hanno rallentata dal punto di vista neurologico.

Anche ora ad esempio, quando sono sotto sforzo succede che perdo il filo del ragionamento. All’epoca mio figlio aveva quindici anni e, nei giorni in cui facevo la chemio, ci trasferivamo a casa dei miei genitori. Con la mia famiglia siamo riusciti a “fare muro”. Con mia sorella, mio fratello e soprattutto mio padre che era un infermiere professionale in pensione. Lui mi ha potuta aiutare per tutti quegli aspetti di cui gli altri, pur con tutte le migliori intenzioni, non avevano competenza.»

Sembra che anche qui torni fuori il suo motto “nessuno si salva da solo” …

«È vero, eravamo una grande famiglia. Devo dire che è stato presente anche il babbo di mio figlio Essendo estate lo porto con sé in vacanza, offrendomi un grande aiuto durante il mio periodo di convalescenza post-operatorio e l’inizio delle terapie. Anche tanti amici si offrirono di ospitarlo in vacanza. Ricordo che per alleggerire il momento dissi a mio figlio Fabio che ci sarebbe stata bene un’operazione all’anno per quante vacanze era riuscito a fare. Lui ovviamente mi disse di non dirlo neanche per scherzo. Io però a saperlo al mare, in vacanza e con persone di fiducia ero più serena. Poi ogni volta che tornavo a casa era un’occasione per festeggiare, ovviamente a tavola, perché grazie al cibo e a quei momenti di convivialità riuscivamo a esorcizzare. Talvolta solo fra noi familiari. altre volte anche con le tante mamme del quartiere che mi sono state di aiuto.»

Cosa hanno significato queste due diagnosi per il suo impegno lavorativo e sindacale?

«Credo che siano state importanti. Per le cure non bastarono i sei mesi previsti dal contratto. Poco dopo il mio rientro al lavoro, a fine 2010, ripresero le trattative per il contratto integrativo di Unicoop Firenze. La mia esperienza con delle malattie importanti era fresca e anche per questo nel nostro integrativo dell’epoca inserimmo nel welfare contrattuale il fondo per le terapie salvavita. Se non bastano i sei mesi dell’anno solare coperti dall’Inps, si arriva alla fine dell’anno con due mesi al 100% integrato da Unicoop Firenze e gli ultimi mesi al 50%.

Alla ripresa delle trattative i miei capelli mostravano ancora i postumi della chemio e, anche se avevamo già pensato a introdurre ulteriori strumenti che ci venivano richiesti dalle lavoratrici e dai lavoratori, credo che la mia presenza a quel tavolo abbia contribuito a un’accelerata. Una conquista condivisa con tutta la delegazione trattante. Ancora una volta il famoso motto si ripete.»

Come è arrivato poi l’incarico dello sportello Donna Chiama Donna?

«Sempre in occasione del rinnovo del contratto integrativo fu istituita la Commissione pari opportunità e nel 2015 venne redatto un vademecum per il benessere e la qualità delle relazioni sul lavoro, in applicazione al codice antiviolenza. Facevo parte della Commissione e i primi incontri formativi furono rivolti ai gruppi dirigenti. Partimmo dalla divisione informatica, in cui ci sono più uomini che donne, per poi passare agli altri uffici e ai direttori dei negozi. Si è trattato di un lavoro che ovviamente non ho fatto da sola, è stato qualcosa di collegiale di cui ho fatto parte, ma il fatto che oggi io mi occupi dello sportello Donna chiama Donna credo che rappresenti una continuità di quell’esperienza. Il mio percorso personale e professionale è sempre stato in collegamento con le esperienze vissute nel tempo e in situazioni diverse. Anche per questo credo in quel famoso motto.»

Ci racconta qualcosa della sua esperienza con lo sportello Donna Chiama Donna?

«Quando ho assunto questo incarico sono andata a fare una ricerca nell’archivio regionale della Cgil Toscana. Il Coordinamento Donne della CGIL Firenze lo ha creato nel 1987 su sollecitazione della Cgil nazionale negli anni della riscossa delle donne, dopo il nuovo diritto di famiglia, la legge sul divorzio, sull’aborto e con le donne che entravano sempre di più nel mondo del lavoro. All’epoca non si parlava di femminicidi e di parità di genere come oggi. Il tipo di bisogno è cambiato nel tempo ma purtroppo questo sportello è attuale anche oggi. Nel corso del 2024 allo sportello si sono rivolte sessantatré donne e un uomo, con un solo caso di violenza fisica. Non esiste distinzione di ceto sociale o professionale per chi si rivolge al nostro sportello.

Una delle mie prime esperienze è stata con una giovane avvocata con una bambina piccola. Era disperata perché la bambina non voleva più andare con il padre. Nell’attesa che tutta la procedura venisse attivata, c’era una situazione complessa da gestire. Vedevo questa giovane donna che essendo avvocata credevo avesse gli strumenti per affrontare la cosa. Invece era come disarmata perché gli aspetti emotivi e psicologici nei casi di violenza possono essere devastanti.

Ho incontrato casi di violenza economica, con donne che separandosi dal marito non erano più in grado di autosostenersi senza l’aiuto dei genitori. Ci sono stati casi di violenza finanziaria con ex mariti che avevano fatto firmare garanzie sulla loro attività lavorativa a mogli inconsapevoli. Gesti commessi per eccesso di amore e fiducia? Non esiste neanche una distinzione per età. Ricordo il caso di una donna “grande”, rimasta vedova e colpita da ischemia, ma di cui la figlia non intendeva occuparsi. Sono tante e diversificate le situazioni possibili e i diritti negati che occorre tutelare. Per questo lo sportello si avvale del supporto di alcune professioniste come un’avvocata civilista, una penalista e una psicologa psicoterapeuta.»

Tornando alla sua prima diagnosi e al “nessuno si salva da solo” so che ai suoi tanti impegni ne ha aggiunti altri…

«Quando nel 2008 mi è stata diagnosticata la sclerosi multipla mi sono subito iscritta all’associazione AISM, prima a Careggi e poi alla sede di Via Rocca Tedalda che è più vicina a casa. Al mio primo colloquio con la presidente Antonella Perez, quando scoprì che ero dipendente Unicoop, chiese il mio aiuto per le diverse iniziative che vengono organizzate per la raccolta fondi. Poi tre o quattro anni fa mi chiese di entrare a far parte del consiglio provinciale perché si era resa conto che riuscivo a fare gruppo.

Con l’associazione partecipiamo il sabato mattina a delle lezioni di yoga che sono pensate appositamente per noi presso Shanti Scuola Yoga. È importante sia perché occorre fare particolare attenzione a non fare movimenti che, anche involontariamente, possono peggiorare la situazione della persona, ma anche perché è un’occasione per socializzare e quindi di esserci di supporto. Non è che risolve la malattia che abbiamo ma ci fa sentire meno sole e ci permette affrontare insieme la paura per il futuro. Ancora una volta torna il famoso motto “nessuno si salva da solo”. Ho parlato al femminile perché la sclerosi multipla è una malattia che colpisce prevalentemente le donne.»

C’è qualche iniziativa particolare organizzata da AISM di cui ci vuole parlare?

«Le iniziative sono diverse e alcune ormai note come la vendita delle mele o quella delle gardenie. Una che mi è stata particolarmente cara è stata A Natale regala un libro e sostieni AISM organizzata prima delle feste al Jazz Bistrot a Firenze da Alessandra Cafiero in collaborazione con Puzzlebook. Un’occasione di incontro fra tantә scrittorә e lettorә che prevedeva, per ogni libro venduto, un contributo da devolvere all’associazione. Quest’anno era per me particolarmente importante perché tra loro c’era il mio ex compagno di scuola Stefano Bernini con il suo libro di poesie. Sembra incredibile ma anche la sua è una storia che si ricollega al fatidico motto.»

Ci racconta la storia di Stefano Bernini e del perché sia collegata al fatidico motto?

«Tutto ebbe inizio in una chat di ex compagni di scuola nella quale è presente anche la nostra professoressa Alessandra Zani. In quella chat, creata per organizzare ritrovi e cene, Stefano iniziò a condividere con noi le poesie che scriveva dopo aver perso sua figlia Aurora. Stefano aveva scelto di affidare alla parola scritta alcuni istanti in cui l’emozione prendeva il sopravvento e li condivideva con noi. Attraverso la poesia ci rivelava come sia possibile celebrare la vita con tutto quello che comporta, compreso il dolore.

Insieme alla nostra professoressa abbiamo deciso di farne una raccolta perché le poesie di Stefano meritavano di essere condivise non solo con noi ex compagnә. Mi sono occupata personalmente di trascriverle tutte. Poi, tuttә insieme le abbiamo selezionate e scelto le immagini a corredo della pubblicazione, Così è nato Poesie e rime di Stefano Bernini, stampato nel 2024. Anche questo è stato un lavoro collegiale e siamo molto orgogliosә di rendere omaggio sia alle poesie di Stefano che ai dipinti di sua figlia Lavinia, di Irene Smorti figlia della compagna di Stefano, di Samanta Panichi, degli amici Paolo Giannini e Orlando Poggi perché ancora una volta “nessuno si salva da solo”.»

Dopo l’intervista ho rivisto Sandra Salvadori al Jazz Bistrot all’evento A Natale regala un libro e sostieni AISM. È stato come svelare la sorpresa di un’ultima piccola matrioska. Il culmine di un viaggio alla scoperta di una delle tante donne oltre il consueto che abitano il nostro quotidiano e nel quale restano nascoste. Una mattinata ricca di emozioni durante la quale ho conosciuto Stefano Bernini, la cui compagna ho scoperto essere una mia vecchia conoscenza. Le sue poesie sono tutte da scoprire e io ho l’impressione che altre matrioske ci aspettino.

Paola Giannò

In alto: Sandra Salvadori – Foto di Manola Biggeri

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