Dacia Maraini prende spunto dal racconto di Conrad per parlare in modo più profondo di un tema complesso come quello dell’aborto.
Pillole di femminile, la rubrica per riflettere su alcuni piccoli grandi temi legati alla vita di tutti i giorni. Partecipa alla nuova call “Abbagli”, invia il tuo racconto inedito entro il 30 aprile 2025.
La pillola di oggi è tratta dal libro Un clandestino a bordo, scritto da Dacia Maraini e pubblicato da Rizzoli nel 1996.
«A volte mi sono chiesta se rimanere incinta non sia per una donna un modo per provare a se stessa di essere dotata di un potere forte, il solo di cui si siano state storicamente dotate le donne: si tratta di un potere che ha perso la sua vera essenza, ma che rimane nell’ombra come il mito di una forza recondita e vitale.
La maternità, nella cultura dei padri, è stata trasformata in un evento di estrema passività per le donne. Nel dormiveglia mi viene in mente un altro quadro: una maternità di Cosmé Tura: una donna grassoccia e il suo bambino bitorzoluto. Ma che grazia e che eleganza in quegli sguardi pieni di sensualità familiare! Lì, come in quasi tutte le maternità che conosciamo, vengono decantati il silenzio, l’accettazione, la ricettività, l’obbedienza, la rassegnazione materna. Le madri sono quasi sempre sole e non si esclude che alcuni di quei figli siano figli di uno stupro consumato fra le pareti domestiche o nel letto matrimoniale.
Di quanto immagini di maternità è dotata la nostra memoria figurativa, quante madri bambine dal volto severo e gentile, quanti bambini cicciuti, pensierosi, pesanti e dolci. Siamo tanto saturi da immagini che non riusciamo più a separare la maternità dall’estrema giovinezza e dall’estrema passività femminile. Una madre cinquantenne ci fa orrore. Ma non, come si suol dire, perché prevediamo che il bambino rimarrà presto orfano e ci preoccupiamo per lui. Questo è pura ipocrisia. È l’immagine della madre con le rughe che ci ripugna, ma esteticamente, non moralmente. La prova sta nel fatto che di tanti bambini figli di uomini settantenni nessuno si preoccupa, anzi vengono visti con ammirazione e tenerezza, tale è l’abitudine storica all’accettazione della differenza.
Quindi la maternità tradizionalmente accettata è quella legata al corpo giovanissimo di una madre ignara e sorpresa, silenziosa e arresa al volere altrui. Questa è l’idea di madre che ci viene riproposta, anche distrattamente, anche sciattamente, da tutti i quadri, le fotografie, le statue che ci troviamo intorno quando impariamo a guardarci intorno.
È curioso, caro Enzo, come vedi che non riesca a parlare dell’aborto ma continui a girare intorno alle immagini della maternità. Sarà perché per me l’aborto è stato soprattutto un esproprio, qualcosa di non voluto e non aspettato che ha spezzato in me una attesa felice, che non si è mai conclusa con un incontro, l’incontro con l’altro da me.
Il clandestino a bordo della mia nave è scomparso prematuramente nel buio della notte senza lasciare una traccia, un nome, un ricordo.
Oppure sarà perché in realtà non si può parlare di aborto senza parlare di maternità. Sono legati l’uno all’altra come due gemelli siamesi: l’uno la faccia del sole, l’altra la faccia all’ombra dello stesso astro rotolante nell’universo femminile.»
Serena Betti
Foto in alto: Elaborazione grafica di Erna Corsi
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