I giorni pari. Maria Caterina Prezioso scrive la guerra “dentro” agli ultimi

Caterina Prezioso
La guerra intima di due donne e delle loro famiglie. La guerra di tutti i giorni in quei giorni che hanno visto l’Italia affondare.

Ho finito di leggere “I giorni pari” di Maria Caterina Prezioso sabato 8 marzo scorso, un giorno pari e Giornata internazionale della donna. Un libro che parla di donne buone ma anche cattive ed egoiste. Donne resistenti, a volte ciniche, ma anche piene d’amore e di vita. Donne che hanno vissuto in un’epoca che le ha segnate e che ha segnato una nazione intera.

Leggerlo è stato immergersi in un inciso, tra due parentesi piene di particolari e di persone che non si trovano sui libri di storia. O almeno non in quelli delle scuole superiori. Un inciso che si apre con una citazione di Luis Sepúlveda che rammenta l’importanza di ricordare le storie dei nostri morti per non farli morire. E poi si chiude con degli efficacissimi post-credits che raccontano come si sono concluse le vicende delle due protagoniste e dei personaggi a loro legati, sia quelli realmente esistiti sia quelli nati dalla mente della scrittrice.

È una storia, anzi due (numero pari): quella di Sara e quella di Silvana. È una storia nella Storia che arricchisce. Se ne esce con della conoscenza in più nella testa e nel cuore su cosa è stata la seconda guerra mondiale. Nei quartieri, nei negozi, nei campi e nelle case delle persone normali; quelle che vivevano nel basso Lazio, tra Latina (all’epoca Littoria), Sperlonga, Fondi, Itri e Lenola e quelle, malate di tubercolosi, che vivevano in sanatorio.

Luoghi semplici di gente semplice dove l’onda lunga degli accadimenti terribili di quegli anni arrivava non con il clamore della deflagrazione ma col dolore lento, la lontananza, la perdita.

Caterina Prezioso - i giorni pariSara e Silvana sono due sopravvissute. Entrambe di Roma, le loro vite si intrecciano e si toccano per una manciata di giorni solo alla fine della narrazione. La prima, ebrea del Ghetto di Roma, figlia di un farmacista che decide di farsi “arianizzare” per il bene della sua attività e della famiglia tutta, e di una madre acuta e lungimirante, viene costretta a rifugiarsi a Sperlonga presso l’avida famiglia di cugini, dove troverà conforto solo in Leone, il minore dei due figli, e dovrà sposare Giuseppe, il maggiore.

La seconda, figlia di un invalido di guerra e di una madre anaffettiva, vive nel quartiere popolare di Val Melaina con la numerosa famiglia ed è considerata dai suoi come un ingombro. Lei è di troppo, soprattutto quando si ammala di tubercolosi. Viene internata al Forlanini, suo rifugio e sua salvezza. Il sanatorio sarà teatro dei primi amori adolescenziali e della nascita di un legame indissolubile con il dott. Giusto Fegiz.

Sara è costretta a maturare in fretta. Sia perché chiamata a seguire le disperate misure intraprese dal padre per proteggere la sua farmacia dalle leggi razziali, con le inevitabili tensioni introdotte nelle dinamiche familiari, sia perché il suo primo amore, Rodolfo, viene umiliato e allontanato dai fascisti.

Silvana viene ricoverata in sanatorio. E lì si accorge che mai come in quel microcosmo di umanità, dove l’amore, l’amicizia e la lotta contro la malattia si intrecciano alla resistenza al disfacimento portato dalla guerra e a quello della sua famiglia di origine, lei si era sentita così piena di voglia di vivere.

Prezioso affonda le radici del suo romanzo in storie vere che toccano personaggi veramente esistiti e le intreccia con l’intima storia delle protagoniste con una narrazione che coinvolge e incuriosisce. È un piccolo dono questo libro, è uno studiare la storia dall’interno delle case, delle famiglie, dei luoghi di cura. Un modo di vedere oltre, proprio come “il dono” della protagonista Sara, che compare più volte durante tutta la vicenda, a inquietarla prima e confortarla poi, giocando un ruolo significativo nella sua vita e nelle sue percezioni.

Elena Marrassini

Foto in alto: Maria Caterina Prezioso

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Post-credits, come Prezioso insegna, da una mini intervista all’autrice:

E: Maria Caterina, perché I giorni pari, dal momento che nel libro mai c’è un riferimento esplicito a questi?

M.C: I giorni pari è un omaggio alla Cantata dei giorni pari di Eduardo De Filippo. La raccolta delle sue commedie giovanili dal 1920 al 1942. Per i napoletani i giorni pari sono i giorni fortunati, felici, nei quali guardare al presente e pensare a un futuro diverso. Per Sara e Silvana i giorni pari sono i giorni di una rivoluzione interiore. E… un piccolo inciso: ogni capitolo si apre con una data: questo ha un significato preciso, quello di una data che ritorna, perché non ci può essere presente senza il ricordo e non ci può essere futuro senza immaginazione.

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