Poeta sperimentale dallo stile unico, visse la poesia come corpo, respiro e scintilla: la sua era una poesia profondamente emotiva.
Ana Cristina Cesar, conosciuta anche come Ana C., è stata una delle figure più affascinanti e sfuggenti della poesia brasiliana del ‘900. Nata a Rio de Janeiro nel 1952, è scomparsa tragicamente a soli trentuno anni. Poeta, critica letteraria, traduttrice, si rifiutava di essere incasellata in uno stile preciso: la sua scrittura era, più che letteratura, un atto vitale, un corpo che si muoveva nella parola.
La sua voce si è distinta negli anni ’70 come una delle più originali della cosiddetta generazione dei marginali, che si opponeva alle formalità della poesia istituzionale. La sua opera, segnata da una grande profondità emotiva, invitava il lettore a un dialogo costante, attivo, quasi a volerlo trascinare dentro un universo in cui nulla è mai dato per scontato.
In opere come Correspondência incompleta ha evidenziato il suo amore per l’ambiguità e il gioco a testimonianza del suo gusto per l’ironia e il disorientamento. La sua poesia alterna svelamento e mascheramento, come se il vero significato fosse sempre un passo oltre ciò che si legge.
La sua opera principale, A teus pés (Ai tuoi piedi), è un ibrido tra diario, prosa e versi, dove l’intimità viene esplorata con precisione chirurgica. Influenzata da Emily Dickinson e Sylvia Plath, ha costruito una poesia fatta di tensioni interiori e domande senza risposta, capace di trasformare l’istante in materia viva. Come lei stessa dichiarava, la sua poesia era «molto costruita, molto dolorosa.» Eppure, in quel dolore, c’è una bellezza disarmante, fatta di tentativi di afferrare l’impercettibile, di aprire una finestra e restare lì, in bilico, nella luce.
Nella poesia Scintilla, proposta oggi nella nostra rubrica, si concentrano tutta la tensione e il desiderio di penetrare il reale, insieme alla consapevolezza tragica dei suoi limiti. Ana Cristina Cesar, con la sua scrittura, ci affida il corpo fragile della poesia come unica forma possibile di sopravvivenza.
Per La poesia nel dì di domenica, Serena Betti, oggi legge per noi Scintilla di Ana Cristina Cesar. Buon ascolto.
Debora Menichetti
Foto in alto: Ana Cristina Cesar (foto fonte web)
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Scintilla
Ho aperto curiosa
il cielo.
Così, scostando leggermente le tende.
Volevo ridere, piangere,
o almeno sorridere
con la stessa leggerezza con cui
mi baciava l’aria.
Volevo entrare,
cuore dopo cuore,
intera,
o almeno muovermi un poco,
con quella parsimonia che caratterizzava
le agitazioni che mi chiamavano.
Addirittura volevo
saper vedere,
e in un movimento rotondo
come le onde
che mi circondavano, invisibili,
abbracciare con le retine
ogni piccolo pezzo di materia viva.
Io volevo
(solo)
percepire l’impercepibile
nel leggerissimo che sorvolava.
Io volevo
prendere una manciata
dell’infinito in luce che a me si mescolava.
Io volevo
captare l’impercepito
negli attimi minimi dello spazio
nudo e pieno.
Io volevo
almeno mantenere aperte le tende
nell’impossibilità di toccarle.
Io non sapevo
che il rovescio della medaglia
era un’esperienza mortale.
(traduzione di Massimiliano Damaggio, con un aiuto di Luca Elli)