Chiara Saraceno: il lavoro non basta a proteggere dal rischio di povertà

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Perché aumentano gli occupati che vivono al di sotto della soglia di povertà? Un controsenso facilmente spiegabile.

Dal quinto numero de L’Altro Femminile, donne oltre il consueto, scarica il PDF della rivista o sfogliala online.

Quando avere un lavoro non basta a proteggere dalla povertà (Fupress) è il testo pubblicato nel 2020 a opera della sociologa Chiara Saraceno. Avere un lavoro sembrerebbe la miglior garanzia contro la povertà, purtroppo però non sempre è sufficiente. Negli ultimi anni le statistiche registrano nel nostro Paese un aumento degli occupati che vivono al di sotto della soglia di povertà. A livello europeo il fenomeno presenta percentuali molto diverse fra i singoli Paesi, anche in funzione delle diverse politiche redistributive e del mondo del lavoro messe in atto.

Che cosa significa “lavoro povero”

Il cosiddetto lavoro “povero” può es­sere interpretato sia a livello individuale che familiare; nel secondo caso occorre considerare il numero di componenti e i redditi complessivi dell’intero nucleo familiare. In caso di famiglia “povera” si intende che tutti i suoi componenti lo siano. Chiara Saraceno individua tre ele­menti che aumentano il rischio di po­vertà, sia individuale che familiare:

  • basso livello di istruzione;
  • bassa qualifica professionale;
  • contratti di lavoro non standard.

Sono tutti elementi che contribuiscono ad accrescere la disuguaglianza sociale (nel lungo periodo anche quella inter­generazionale) e spesso sono legati all’origine di nascita in quanto fattori che tendono a ripetersi nelle genera­zioni successive.

Lavoratori in povertà

L’affermazione di Chiara Saraceno nel titolo del volume potrebbe a prima vi­sta sembrare un controsenso: se lavoro, come faccio a essere povero? In realtà è possibile in quanto negli ultimi anni l’aumento dell’occupazione si è diretta soprattutto verso i cosiddetti contratti non standard (a tempo determinato, part-time e collaborazioni). Contratti diventati tanto di moda in questi ultimi anni, soprattutto a seguito della riforma Poletti del 2014. Nei contratti atipici si concentrano donne, giovani e immi­grati, che non a caso rappresentano le categorie a maggior rischio di povertà.

Dalle ultime rilevazioni Istat riferite all’anno 2021, a fronte di un tasso complessivo di occupazione pari al 58,2% risulta occupato il 67,1% degli uomini contro il 49,4% delle donne. Solo una donna su due lavora. Fra le donne occu­pate di età compresa fra i venticinque e i quarantanove anni il 73,9% non ha figli.

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Infografica – Fonte ISTAT

Il tasso di occupazione femminile nel nostro paese

In Italia il basso tasso di occupazione femminile è uno degli elementi che determina il prevalere di famiglie mo­noreddito, che sono a maggior rischio di povertà, ed è ostacolato non solo da una domanda di lavoro insufficiente ma anche dalle difficoltà per le donne di conciliare famiglia e lavoro, soprat­tutto se hanno più figli, se hanno una bassa qualifica e se vivono al sud o sono straniere. Fra le donne è anche mag­giormente diffuso il part-time, spesso involontario, che riduce la capacità di reddito sia individuale che familiare.

Per quanto riguarda i giovani, l’Italia detiene anche il triste primato negativo relativamente ai neet (acronimo inglese per indicare i giovani fra i quindici e i ventinove anni che non studiano e non lavorano), categoria che presenta an­che un forte divario di genere in quanto dall’ultimo rapporto Eurispes emerge che la maggior parte sono donne.

Povertà e diritti umani

Occorre anche sottolineare che essere lavoratori a basso reddito può anche rappresentare un ostacolo al godimento di altri diritti fondamentali. Un giovane lavoratore povero può non rendersi au­tonomo dalla famiglia. Una donna la­voratrice povera può non avere la pos­sibilità di uscire da un matrimonio che non funziona o da un rapporto violento. La povertà familiare è inoltre uno degli elementi determinanti per la cosiddetta “povertà educativa”, cioè la privazione per bambine, bambini e adolescenti della possibilità di apprendere, speri­mentare, sviluppare e far fiorire libera­mente capacità, talenti e aspirazioni.

Soluzioni e obbiettivi

Per risolvere la questione della povertà Chiara Saraceno segnala come non sia sufficiente aumentare il numero degli occupati. Se l’occupazione è parziale o il salario troppo basso infatti non cam­bia granché. Dovrebbe invece essere migliorata la qualità dei livelli occupa­zionali e sostenuta l’occupazione fem­minile (soprattutto in presenza di figli e con bassi livelli di istruzione) andando a intervenire nell’ottica della parità di ge­nere per una migliore conciliazione dei tempi lavoro-famiglia e per contrastare la povertà educativa. Occorre orientarsi verso una dimensione di maggiore col­laborazione, superando le divisioni di genere, valorizzando piuttosto quelle differenze che ci contraddistinguono e che rendono ognuna e ognuno di noi unica e unico.

Per approfondimenti: Istat. Annuario Statistico 2022

Paola Giannò

Foto in alto: Senza dimora, Torino

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